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di Natale Pace

Scrivendo di una precedente raccolta poetica, “Compitare nei cortili” ho definito Renè Corona un irruento costruttore di parole. Renè tra le parole è un acrobata, sospeso nelle altezze del trapezio della poesia e, come gli acrobati, egli ha un senso solo lassù. Sulla terraferma, lontano dalle sue parole egli non ha senso, non si realizza, sembra che non sappia parlare, come se gli mancasse qualcosa.

Se parli con lui, meglio se leggi i suoi versi, ti ritrovi per incanto tra le miscele di colori di Kandinskij, in un misterioso labirinto dentro il quale cominci tra un verso e l’altro a crogiolarti, a girovagare senza meta, ma ti ci trovi bene e non ti passa neppure per l’anticamera della testa di cercare la via di uscita.

Il nostro poeta è’ un francese importato in Italia o forse è meglio dire un calabrese nato per sbaglio a Parigi 69 anni fa. Vi è arrivato, in Calabria per lavoro a 35 anni come esperto linguistico alla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici e non è andato più via. Si è stabilito a Bova Marina da dove fa il pendolare verso l’Università di Messina. Di Parigi gli resta un lontano parlare strascicato con la “evve” moscia (ma solo appena accennato) e una certa timidezza nel dialogo, quasi ritrosia, che, una parola sì e un’altra gliela devi strappare con le unghie, sembra chiederti scusa quasi.

di Benedetta Borrata

L’inquilino delle parole è un poema dedicato alla scrittura, alla letteratura, alla poesia, alla figura del poeta, inquilino delle parole. Già a una prima lettura è evidente che l’autore, con eccezionale virtù stilistica, si pone su un terreno tutto suo, molto personale e originale. La battuta d’entrata di ogni sua poesia è un esergo. Sono scritti brevi, poche parole, di autori che René Corona conosce molto bene, che ha praticato per le tematiche e per le diverse forme linguistiche, facendo emergere la sua importantissima attività di traduttore, la fascinazione per il sapere e la cultura degli altri. Non dimentichiamo che il lavoro dei traduttori, sin dagli antichi albori, ha avuto un ruolo determinante per la formazione della civiltà europea e non solo.

Ogni esergo non è poi semplice citazione, ma è il punto di avvio per riedificare,  reinventare, costruire qualcosa di nuovo intorno a ciò che esiste già, che è solito che avvenga e di cui pochi si accorgono. L’esergo diventa campo aperto di evocazione e di ispirazione. 

Due verità svelate", di Giovanni Suraci, è un romanzo di gradevolissima lettura, di scrittura significativamente argomentativa, nutrita di archetipi, icone, modelli primari di umanità correlati a riferimenti storici, antropologici e culturali. Sono pagine in cui si respira il desiderio di conferma della dignità, del senso di responsabilità, della morale, dell' etica, di valori che abilmente l'autore mette a fuoco attraverso i punti di vista e le azioni degli stessi personaggi. Tra situazioni e intrecci diversi emerge nel romanzo il motivo della trasformazione, soprattutto quella storico-sociale che, anche silenziosamente  condiziona il senso del vivere, con effetti a volte gravemente irreversibili. Il Sopruso di Stellario Baccellieri, in prima di copertina, segna una brillante contaminazione tra parole e immagini. L'antico albero, con a terra tutte le sue spoglie, ora è solo una ciminiera di fumo nero che, nello svelamento di due verità, contrasta con l'azzurro di quel mare, bacino di tradizioni e crocevia di culture. Il romanzo sottende anche un importante messaggio: non lasciarsi oscurare da quel fumo nero. La sfida è cercare, tra il labirinto che ci circonda, uno spazio che ci salvi da un labirinto ancora più  grave che è quello interiore.

 

di Anna Foti

Una lirica improntata alla ricerca impossibile di un senso esistenziale compiuto e definito, tale da estirpare quel male di vivere invece così radicato, quella di Eugenio Montale, poeta, giornalista e critico musicale genovese, senatore a vita, di cui quest'anno ricorrono i 125 anni dalla nascita e i 40 anni dalla morte. Le sue raccolte di liriche disegnano un percorso che si dipana dai frammenti dell’essere per approdare a frammenti di vita preziosa come quella condivisa con la moglie, Drusilla Tanzi, anche lei scrittrice, cui dedicò le sezioni "Xenia 1" e "Xenia 2" (nell’antica Grecia i doni fatti all’ospite) della raccolta "Satura" (1971). Un titolo che di per sé suggerisce ciò che rimane di una vita di parole, di inchiostro, di intima e intensa ricerca, di costante tensione emotiva.

«Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni», così uno tra i più rappresentativi poeti italiani del Novecento, Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), riceveva il quinto dei sei premi Nobel per la Letteratura assegnati a personalità del Regno d’Italia prima e della Repubblica Italiana dopo. Il poeta, giornalista e critico musicale genovese, senatore a vita, di cui quest'anno ricorrono i 125 anni dalla nascita e i 40 anni dalla morte, riportò nel 1975 il prestigioso riconoscimento internazionale in Italia, dopo il poeta toscano Giosuè Carducci (1906), la scrittrice sarda Grazia Deledda (1926), lo scrittore siciliano Luigi Pirandello (1934), il poeta siciliano Salvatore Quasimodo (1959), e prima dello scrittore lombardo Dario Fo (1997).