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di Benedetta Borrata

L’inquilino delle parole è un poema dedicato alla scrittura, alla letteratura, alla poesia, alla figura del poeta, inquilino delle parole. Già a una prima lettura è evidente che l’autore, con eccezionale virtù stilistica, si pone su un terreno tutto suo, molto personale e originale. La battuta d’entrata di ogni sua poesia è un esergo. Sono scritti brevi, poche parole, di autori che René Corona conosce molto bene, che ha praticato per le tematiche e per le diverse forme linguistiche, facendo emergere la sua importantissima attività di traduttore, la fascinazione per il sapere e la cultura degli altri. Non dimentichiamo che il lavoro dei traduttori, sin dagli antichi albori, ha avuto un ruolo determinante per la formazione della civiltà europea e non solo.

Ogni esergo non è poi semplice citazione, ma è il punto di avvio per riedificare,  reinventare, costruire qualcosa di nuovo intorno a ciò che esiste già, che è solito che avvenga e di cui pochi si accorgono. L’esergo diventa campo aperto di evocazione e di ispirazione. 

Occaso

<La pluie descend dans la nuit noire […]>

                  Paul de Roux, Entrevoir

Per Natale Pace

I singulti del leccio intimoriscono il viandante
mentre attraversa la luce del sottobosco
le didascalie in sovrimpressione del filo d’erba
raggelano il cuore smarrito del paesaggio
che si disfa e si lascia andare
ad un pianto convulso
interrotto solo dal passaggio del trattore
 che ritorna a casa
mentre la pioggia non smette di scivolare
nei rigagnoli formati sul letto d’erba
e le lepidezze degli uccelli
nelle macchie deliziano
le ore crepuscolari                             

Entrevoir. Certamente, il poeta intravede, scorge, scopre. Nelle potenzialità delle parole trova la formula magica per l’immedesimazione, l’identificazione di immagini, di visioni, di percezioni sensoriali, di rifrazioni di luci, di segni sovrimpressi su fili d’erba, di singulti, di pianti convulsi della natura a specchio dei sentimenti e degli umori di un viandante solitario, solitario come lo è quel trattore che rientra a casa nelle ore crepuscolari, deliziate dalle lepidezze degli uccelli.

Occaso, è un esempio di grande organizzazione poetica, scenica e speculativa. Interessanti sono anche alcune scelte lessicali di timbro classico, a cominciare dal titolo <occaso> e poi <singulto>, <lepidezze>. A proposito di lepidezze, nella lirica si coglie il reiterarsi di situazioni della quotidianità in cui fa capolino quel filo di speranza racchiuso nelle lepidezze di un crepuscolo. Il crepuscolo non è solo quella luce tenue del cielo dopo il tramonto, ma anche quella luce che precede il sorgere del sole.

Le poesie di René Corona sono completamente prive di punteggiatura. Sono un’unica estensione, aperta graficamente e liricamente; il senso è affidato all’accapo e all’accostamento delle stesse parole, espressione di magica fluidità del pensiero, della continuità dell’esistenza che si reitera senza interruzioni.

Protagoniste sono veramente le parole che, potenziate al massimo, campeggiano sulla pagina bianca; il poeta ne è affittuario privilegiato. Siamo dunque arrivati al titolo di questa raccolta: L’inquilino delle parole. E’ il titolo anche di una composizione, che è all’interno della stessa raccolta, introdotta dall’esergo, tratto da Compendio di retorica di Daniele Gorret, versi significativi riguardo l’attività dello scrittore, del poeta, attività che apparentemente sembra un gioco, ma è impegno per tutta la vita dedicata alla lettura e allo studio serio delle lingue.

 

L’inquilino dele parole

<[…]pareva gioco ed era vita intera:
un’esistenza a leggere e glossare […]>
(Daniele Gorret, Compendio di retorica)

 

per la moltitudine la poesia

è una pallida scrittura

pallida come quelle signore un po’ attempate di una volta

con lo chignon mezzo disfatto e il corsetto stretto

il sorriso amabile un po’ distratto

rimettono i pince-nez sul naso

e ti squadrano dall’alto verso il basso

perché non capiscono chi hanno di fronte

stanno già pensando ad altro

lontano lontano

come l’ontano dell’orizzonte

che declina nel tramonto collinare

sole e scritture pallide

versi misteriosi messaggi segreti lingue astruse

singole lettere senza risposte e rime socchiuse

 

prendo in affitto le parole

e come un giocoliere maldestro

come il clown di Théodore de Banville

che saltando vola via

le lancio verso le stelle

affittuario pure del cielo e delle nuvole

le mie stelle

quelle su in alto del lusco e del  brusco

quelle d’autunno di pioggia di dilucolo d’infanzia

quelle dell’amore e del disonore che rimano con dolore

quelle straniere sillabe attaccate e disprezzate

e nel mio firmamento di dolore

incollo la mia vita spezzettata in rime

sfaccettata sulle note della retorica

 

e con le parole degli altri prese in prestito

con l’aiuto del grimaldello

di sillabe operose e pallide

assorte nella contemplazione del dentro

e della poesia

in tutta la sua splendida scrittura

l’inquilino delle parole

tenta di offrire qualche ragguaglio

non risposte certe comunque suggerimenti

          -la vita è anche questa-

ma non viene quasi mai compreso

solo da pochi

che sanno guardare l’ontano lontano

ad un passo da qui

mentre si china verso di te

per qualche confidenza

 

L’albero dell’ontano segna il punto di divergenza tra <viaggiatori distratti> (termine usato da Borges nella sua opera La biblioteca di Babele) e viaggiatori attenti; l’ontano segna proprio una soglia: al di qua il vuoto, il non luogo, il tramonto fisico e spirituale, il disincanto grottesco, al di là c’è l’epifania della parola, l’<entrevoir> del poeta, la veggenza, l’illuminazione, la corrispondenza con l’ontano, tra la natura e la contemplazione del dentro.

Questa poesia merita un grande impegno, meditazione e tempo perché sollecita a numerose e importanti riflessioni sulla figura del poeta, sul valore della poesia e sulla funzione che essa e tutta la scrittura può esercitare sui lettori.

L’intero componimento è attraversato da una sottesa ansia che è di René Corona, ma è anche di tutti i poeti, scrittori, di fronte al contrasto, un po’ limitante, con i “viaggiatori” distratti, non dotati di sensibilità per il bello, l’armonia, la musicalità, parchi di emozioni, di stupore e di meraviglia. Figure pallide come è pallida per loro la poesia. Guardano il poeta dall’alto verso il basso e non viceversa e portano lo sguardo distrattamente nel vuoto, lontano, verso l’orizzonte dove l’ontano accompagna il declino del tramonto.

Alla parte destruens del componimento segue quella construens, quella dell’inquilino attento che prende in prestito, in affitto, le parole che sono anche degli altri, che appartengono a tutti, e le combina insieme per creare concentus e non rumores. Nell’esigenza di dover ridurre il tempo della mia relazione, mi collego a due riferimenti di questa parte, che mi hanno parecchio coinvolto: il giocoliere e il grimaldello. Il poeta è come il giocoliere, è il bagatto, l’arcano maggiore dei tarocchi, figura affascinante, dotato di particolari abilità artistiche nel concertare, nel combinare, mettere insieme, degno di entrare nel castello dei destini e, con il suo grimaldello, che è anche delle parole, tracciare percorsi di verità esistenziali,  affidati tsalvolta a significativi virtuosismi verbali, a efficaci figure retoriche.

René Corona mette spesso in evidenza la difficoltà di chi scrive, momento faticoso soprattutto quando si tratta di correggere le bozze e di andare a caccia di refusi, tra i quali c’è sempre quello che sfugge agli occhi più vigili. Ma vorrei tornare un attimo sul problema che Corona affronta riguardo la dilezione poetica in una poesia dal titolo avvolgere le emozioni in cui gioca sul significato di avvolgere, facendo anche sorridere il lettore.

 

avvolgere le emozioni

<[…]et cedro dignas locutus
linquere nec scombros metuentia carmina nec tus?>
Persio, Satira I

si stagliano le creste montane e collinari

su uno sfondo cremoso

giornata cappuccino con punta di cioccolato

un vento iemale che ghiaccia le dita

e scompone i versi di colui che cammina

cercando di afferrare un briciolo di reale

diverso da ciò che svendono che sviliscono

come realtà

persino Persio rimasto sul comodino

alza le spalle scoraggiato

e anche i venditori di sgombro

che hanno finito la carta gialla

e si spellano le mani nell’arena

per applaudire i gladiatori gli esperti

che hanno fatto fuori i poeti

 

la dilezione poetica a volte viene dimenticata

accartocciata e avvolta

come un residuo mal vissuto

o come sopra un ottovolante abbandonata

al lunapark capriccioso e poco attento

non c’è nessuna speranza una volta salito

che tu possa uscirne vivo con la testa sulle spalle

e le budella a posto

e ti dicono pure

che è il bello della vita moderna

velocità vuoto e gran ridere urlando

 

Nell’esergo di apertura è ripresa la Satira I di Persio in cui si legge: (ci sarà mai qualcuno che)…dopo aver cantato cose degne dell’olio di cedro( veniva usato per preservare i libri dalle tarme) voglia lasciare poemi che temano di finire per incartare sgombri e incenso?

Nel tessuto di immagini, accompagnate da sottile ironia, René Corona manifesta l’amarezza di fronte a dati di involuzione morale e culturale della società, mentre cerca <di afferrare un briciolo di reale diverso>. <Svendono>, <sviliscono> sono dichiarazione della lucida consapevolezza del poeta che, <circondato da velocità vuoto e gran ridere urlando>, rischia di diventare lo scarto da accartocciare e da dimenticare. Pertanto, da speciale inquilino delle parole, lancia la sua sfida; vola sempre più in alto come l’albatro di Baudelaire prendendo in affitto anche il cielo, le nuvole e le stelle.