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di Anna Foti

A quest'ora della notte,
di tutte le notti,
prendo carta e penna
per scalare la mia cima impossibile (...)

Inizia sulla scia di questi versi, affidati alla lettura del poeta Francesco Tassone, l'incontro dedicato all'opera Omnia di Giuseppe Bova, presidente del circolo culturale Rhegium Julii, dal titolo suggestivo "Ossigeno", edito di Iride del gruppo Rubbettino (2021). La raccolta racchiude oltre mezzo secolo di poesie nelle quale Pino Bova, già soprintendente del Teatro Francesco Cilea di Reggio Calabria e Presidente dell’Università per stranieri Dante Alighieri, ripercorre i versi la sua vita trascorsa a scrivere liriche dal 1966 al 2020. La raccolta, dedicata ai figli Claudio e Raffaele, con la prefazione del poeta Corrado Calabrò, comprende undici sillogi di cui quattro inedite "Un'altra libertà" (1999-2020), "Ossigeno" (2012-2013), "Sono come sono" (1998 ad oggi) e "Turno di notte". Queste ultime a coronamento di un cammino poetico già segnato da altre pubblicazioni: "Uomini sempre" (1977), "Diamoci la mano" (1966), "Dimensione uomo" (1984), "L'albero del pane" (1991), "Così tenero, così fuggitivo" (1999), "La parola esclusa" (2003), "Millennium coat" (2003).

di Anna Foti

Dal latino Iulia, nome gentilizio di una antica e nobile famiglia romana, la gens Iulia (il cui più illustre rappresentante fu Giulio Cesare), il nome Giulia appartenne alla prima femminista della Storia, Giulia maggiore (Iulia Caesaris filia o Iulia Augusti filia) unica figlia naturale dell’imperatore Augusto. Figlia di un imperatore ma con spirito repubblicano. Vissuta tra il 39 A.C. ed il 14 d.C., la sua esistenza fu travagliata fin dalla nascita quando, nello stesso giorno del parto, la seconda moglie di Augusto, Scribonia, madre di Giulia, venne lasciata da Augusto. 

Affascinante, vivace ed intelligente fin da bambina, Giulia, su cui il padre aveva la totale potestà, imparò a ribellarsi alle scelte paterne, conducendo una stile di vita spregiudicato. Dopo il confino ordinato nell’antica Pandataria, oggi isola di Ventotene, pagò la sua ribellione con l’esilio trascorrendo proprio a Reggio Calabria i suoi ultimi anni. Visse l'ultimo periodo nell'omonima Torre di cui, dopo il devastante sisma del 1783, non restavano che ruderi, poi successivamente abbattuti e rimossi. Secondo gli studi condotti nei secoli successivi, tale torre ricadeva proprio nella zona (nei pressi dell’attuale Villa Zerbi) dove oggi sorge l'omonima via Giulia.

di Natale Pace

Dal 1946 al 1964 la Domenica del Corriere fu diretta da Eligio Possenti che la condusse insieme a Dino Buzzati, capo redattore, vero e proprio direttore tra le quinte. Era nata nel 1899 come inserto del Corriere della Sera e con l’obiettivo di non farne un secondo giornale, ma una vera e propria fotografia settimanale della vita degli italiani. Infatti, differentemente dagli altri settimanali del tempo, si caratterizzava per i suoi tanti disegni e servizi fotografici, che furono infatti il principale motivo del suo gradimento nei lettori. La prima e ultima di copertina conteneva tra l’altro un disegno con raffigurati i due fatti più importanti della settimana. Le illustrazioni di copertina furono affidate per 46 anni a Achille Beltrame e alla sua morte a Walter Molino. Erano dei veri capolavori  e oggi si è sviluppato un vero e proprio collezionismo e si spendono veri capitali per una copertina rara.

Anche la Città di Palmi ebbe il privilegio della copertina della Domenica del Corriere, per quanto ne sia a conoscenza, per almeno due volte: una venne dedicata alla maestosa macchina della Varia, oggi patrimonio immateriale dell’umanità nel novero delle Grandi Macchine a Spalla. L’altra per un fatto di cronaca che all’inizio di gennaio 1954 ebbe risalto su tutti i giornali nazionali e, diffuse da importanti agenzie, in tutto il mondo.

di Florinda Minniti                                                    

Il canto XXVI dell’Inferno, fra i più celebrati della Commedia, ha come protagonista il mitico eroe greco Ulisse, che narra in prima persona la sua ultima avventura. Per questo e per l’universale valenza simbolica del personaggio il XXVI dell’Inferno è definito per antonomasia il “canto di Ulisse”.

E’ necessario premettere che Dante non ebbe nozione diretta dei poemi omerici (la conoscenza del greco antico si era persa nel Medioevo tranne in un circoscritto territorio della Calabria, dove sopravviveva ad opera del monaco Barlaam di Seminara e del suo discepolo Leonzio Pilato) e probabilmente neanche dei tardi riassunti di essi nè delle elaborazioni romanzesche di ambiente neolatino (il poema francese di Benoit de Sainte Maure e la storia latina di Guido delle Colonne), dove la narrazione del nostos, ritorno, di Ulisse ad Itaca trovava ampio spazio.

Tuttavia non mancavano le fonti alle quali attingere: Virgilio (Aen.,III) e Stazio (Achill., I) fornivano la notizia degli inganni famosi e della personalità dello scelerum inventor; Ovidio (Metam.,XIV,154 e segg.) narrò dell’ultimo viaggio dei naviganti ormai vecchi e stanchi; Orazio (Ars poet., 141-142) parlò della vasta esperienza che Ulisse ebbe di paesi e uomini; infine Cicerone (De finibus, V, XVIII, 48-49; De off., III, 26) e Seneca (De const. sapientis, II, I) riferivano della sapientiae cupido e dell’innatus cognitionis amor dell’eroe più forti di ogni altro affetto, di ogni rischio e di ogni timore.