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di Natale Pace

La Giornata Mondiale della Poesia la festeggio il giorno dopo. E’ una piccola provocazione un po’ perché, vi confesso, questo uso (abuso) per cui ogni giorno è la Giornata Mondiale di qualche cosa per cui si mischia spesso il sacro con il profano, la giornata mondiale del prezzemolo con i milioni di morti per covid, o la poesia. La poesia l’ho celebrata ogni santo giorno da quando avevo quindici anni e passavo le mie ore a leggere i versi di Garcia Lorca e mi sollevavo un metro sopra terra. In questi cinquantasei anni l’ho onorata leggendo, leggendo, leggendo, ma anche scrivendo, componendo, all’inizio scopiazzando Lorca e Ungaretti, Calogero e Quasimodo, sempre per un primo bisogno corporale, confessando al foglio i turbamenti, gli aneliti, le vittorie e le sconfitte. Invece di urlare la gioia, invece di piangere scrivevo. Poi sopravvenne il bisogno di condividere con gli altri i versi copiosi e infantili: con la prima ragazza a sedici anni, poi fidanzata e sposa per la vita.

Oggi voglio celebrare la Poesia con un componimento straordinariamente evocativo di Mario Bagalà, palmese, poeta popolare nel senso più stretto del termine, chansonnier ironico, a tratti volutamente buffonesco, sfottente, ma avvincente coi suoi versi in dialetto, a mio parere troppo prematuramente scomparso quando ancora aveva tanto da dire per la cultura e non solo di Palmi.

Una poesia che mi trasporta indietro nel tempo, agli anni dell’infanzia che ho trascorsa tutta al rione Palumbo dove nacqui e vissi i miei primi dodici anni.

di Anna Foti

«……S’accendono le candele della sera/ si consumano per splendere/ si bruciano facilmente/ domandano acqua……». Parole leggere, anche quando greve è il senso, delle liriche di una giovane e sensibile penna dolcemente cullata dallo Stretto e profondamente inebriata di Fede. E a questi versi, che terminano con l’immagine fanciullesca in cui "l’anima gioca", è affidato il titolo della prima silloge poetica di Ilda Tripodi, insegnante di sostegno alla scuola primaria con la passione per il giornalismo e uno spirito poetico coltivato fin da giovanissima nel circolo Rhegium Julii. Con i caratteri di Iride, ha recentemente pubblicato la nuova silloge "La Facitrice", ma il suo cammino poetico è iniziato nel 2007, quando con i caratteri di Città del Sole edizioni pubblicò la sua prima raccolta di poesia intitolata appunto "L'anima gioca".

Leggerezza si respira tra i versi come frammenti di una storia universale che possiede molto da raccontare. Un’ariosità che restituisce le parole al vento perché le sollevi, le accompagni in questo viaggio in cui sono «i timoni a scegliere gli approdi». Quel vento, spesso richiamato nelle liriche quale elemento vitale che lambisce la terra, domina il fuoco e increspa le acque, può essere segnato e attraversato solo dalla poesia. Se dunque i timoni scelgono le mete, cosa resta da decidere. Forse ciò che è più importante: il cammino. Rimanere laddove si approda o intraprendere un nuovo viaggio.

di Natale Pace

Tra i libri di Domenico Zappone della mia libreria, un posto certamente privilegiato lo occupa “Il mio amico Hemingway e altri racconti” pubblicato da Frama Sud nel 1984.  Si pavoneggia, in terza pagina, sotto il titolo una affettuosa dedica: “A Rosetta e Natale in ricordo di mio marito. Rosa Zappone”.

Se ne sta lì a ricordarmi la affettuosa, quasi filiale amicizia di cui mi ha onorato la bella Nanù (nomignolo affibbiatole scherzosamente da Mimmo, il quale la sfotteva dicendo che Rosa non gli piaceva come nome perché ricordava una cameriera – Rosina del Barbiere di Siviglia. In realtà la Rosina di Puccini non era cameriera ma figlioccia di don Bartolo).

Mi voleva bene Rosa Isola, in un periodo della sua vita difficile e tormentato, per la tragica fine del grande giornalista palmese, morto suicida (almeno questa è la tesi ufficiale) a Palmi il 6 novembre 1976. Ho provato in quegli anni a risollevarle il morale.

Si facevano certi pomeriggi di caffè e cultura più per celebrare e ricordare Zappone che per sua voglia (bisogno). Non ci sarò certamente riuscito; troppo feroce il dolore, atroce la convinzione che mai s’è tolta dalla testa di non essere riuscita a fermarlo, a distoglierlo, a rendersi conto del grado di insoddisfazione esistenziale in cui si dibatteva Mimmo, lei che eroicamente era riuscita nei primi anni ’50 a salvargli la vita, reperendo per le strade pericolose di Napoli la preziosa penicillina di cui aveva assolutamente bisogno per fermare l’infezione alla gamba ferita per una caduta banalissima. Zappone celebrò il coraggio stoico di Rosina nel celebre racconto lungo “La cinque fiale” pubblicato nel 1952, ma quella ferita lo rese claudicante per la vita e forse fu uno dei motivi della tragica morte.

di Anna Foti

La storia dell'umanità annovera il 23 febbraio 1455 tra le date più rivoluzionarie. Fino a qualche anno prima la scrittura era affidata alla pazienza e al talento calligrafico degli amanuensi, schiavi literati che copiavano sapientemente testi per tramandarli come autentiche e intramontabili, opere d'arte oggi molto preziose. L'arte amanuense ha preceduto l'avvento della stampa a caratteri mobili, frutto dell'intuizione del tipografo tedesco Johann Gutenberg che, nella città tedesca di Magonza, tra il 1448 ed il 1454 stampò, con la sua tecnica innovativa, il primo libro in Europa in lingua latina: la Bibbia a 42 linee. La tecnica tipografica di Gutenberg consisteva nell'allineare i singoli caratteri in modo da formare una pagina, poi cosparsa di inchiostro e pressata su un foglio di carta. L'innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri, da qui la denominazione di stampa a caratteri mobili da lui inventata.

La Bibbia a 42 linee, così realizzata, fu completata proprio il 23 febbraio 1455, in "corte Humbrecht" (oggi Schustergasse 20), e posta in vendita a Francoforte, con una prima tiratura di 180 copie. Un evento storico che, ad oggi, avvalora anche la grandezza e l'importanza di quanto avvenuto solo venti anni dopo, più a Sud dell'Europa, nell'antica Reggio Calabria. Il più antico libro stampato in lingua ebraica con data certa risale infatti al febbraio del 1475 ed è il Commentarius in Pentateuchum del rabbino Rashi (acronimo di Rabbi Salomon ben Isaac) dato alle stampe, nella fiorente Giudecca reggina del XV secolo, dal tipografo Avraham Ben Garton Ben Yishaq.