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di Natale Pace

L’ho fatto!

Così come l’ha descritto Gioacchino Criaco a pag.60 de “Il custode delle parole” (Narratori Feltrinelli, 2022), ho preparato il piatto dei pastori d’Aspromonte. Ma non ci ho messo solo gli ingredienti di cucina, l’ho fatto esattamente come lui, aggiungendovi ingredienti che non si trovano al supermercato: l’amicizia, l’amore, la famiglia, la magia delle sere calabresi.

Qualche sera prima del tampone positivo (e io che dopo tre anni mi credevo immune per sorte divina) ho invitato la ciurma dei parenti più cari, le ho raccolte in giardino al riparo dall’umido serale sotto il gazebo a tetto spiovente e mentre loro coglioneggiavano di celie sacre, segregato in cucina, l’ho fatto.

Ogni tanto qualcuno ci provava, si avvicinava dentro casa: “vuoi una mano?” mal gliene coglieva, perché lo rincorrevo col mestolo di legno fino alla porta.

Il pacco della struncatura comandava su tutti gli altri ingredienti sul tavolo della cucina: altero, padrone, sapeva che la festa era in suo onore, come anche sentiva la responsabilità di trasmettere odori passati, scottature rosse di peperoncino sulla lingua, echi di querce millenarie, di foglie come ance di oboe nel folto delle faggete, gorgoglii di acque a tratti scroscianti in improvvise cascate freschissime che la ciurma doveva sentire prima negli occhi e nella testa e poi, molto poi nel palato.

Di Vincenzo Filardo

  1. Condivido finalità ed approccio, pamphlet divulgativo dedicato ai ragazzi, del libro di Leporace sulla figura di Giacomo Mancini, un protagonista meridionale della politica e della promozione culturale del ‘900. A parte il Premio Sila penso alla sua spinta diretta e al suo contributo personale al grande tema del Riformismo italiano con l’occhio particolarmente attento alla soluzione della Questione Meridionale. Penso alla sua visione di uno Stato moderno regolatore del mercato con una presenza importante nell’economia e nei settori pubblici: una visione erosa progressivamente dal pesante incedere del liberalismo e dalla globalizzazione dei poteri finanziari.
  2. Per trasmettere esperienze del passato alle nuove generazioni occorre il linguaggio giusto, quello semplice, diretto, privo di gergalità politiciste, privo soprattutto di nostalgie e di parole senz’anima. E nel suo “Bignami” del romanzo di una vita, quella di Mancini, Paride Leporace usa la sua professionalità, il suo mestiere di giornalista e di comunicatore, sfugge al racconto agiografico, non si fa prendere dall’affetto e dalla stima che comunque nutre verso il suo personaggio, scrive con “occhio asciutto”. Un secolo di storia umana e politica in meno di cento pagine. Basta leggere l’indice del volumetto che inizia con il rapporto di Giacomo con suo padre Pietro, con la sua città, la sua famiglia di origine, aristocratica, Mancini- De Matera, in quel palazzo nel contro storico di Cosenza accanto al liceo Telesio. E che finisce con la sindacatura della sua città e l’abbraccio di Cosenza al suo funerale laico in cui parlano Emanuele Macaluso, comunista migliorista, riformatore moderato del PCI e Franco Piperno leader di Potere Operaio gruppo extraparlamentare dei famosi anni ’70: associati ambedue dal riconoscere in quella salma la dimensione politica ed umana di uno statista.
  3. Condivido anche l’altra finalità del libro: un contributo per riaprire una discussione sulla Calabria e sul Mezzogiorno. A noi serve però una discussione che ci consenta di guardare avanti. Per questo dovremmo cogliere e valorizzare i punti di forza che ci vengono dal passato per riannodarli, rinnovarli profondamente, valorizzarli. E per questo dovremmo evitare giudizi demolitivi, processi, semplificazioni schematiche su persone e su fatti.
  4. Allora vorrei fare all’autore tre domande che emergono dal suo racconto sulla vita di Mancini.

di Franco Costantino

INTRODUZIONE

Parto dalle conclusioni aperte del libro per condividerne la sostanza.

Il politico Mancini, nel corso della sua lunga militanza politica ha accumulato più meriti che colpe e il libro di Paride Leporace ha sicuramente il gran merito di restituire alla memoria, soprattutto dei giovani, nel ventennale della morte, le principali tappe  dell’azione politica e di governo di Giacomo Mancini ininterrottamente parlamentare, per 44 anni, da 1948 al 1992 e più volte ministro della Repubblica, oltreché segretario del Partito Socialista e Sindaco di Cosenza per ben 3 volte. Una volta da giovane nella prima Repubblica e 2 volte con l’elezione diretta nel 1993 e nel 1997, dopo di che anche il Sindaco del dopo Mancini è stata espressione della sua precisa volontà.

C’era bisogno di aggiungere una nuova ricostruzione della vicenda politica ed umana di un uomo politico su cui i giudizi sono stati spesso contrastanti?

Dopo aver letto il libro io penso proprio di si.

La partizione del libro è organizzata per capitoli che potrebbero essere valutati in piena autonomia ma che accostati l’uno all’altro consentono di leggere il quadro completo dell’intera esistenza di quello che è stato definito “Avvocato del SUD”

A me riesce meglio pensare alla figura di Mancini come politico di caratura nazionale che per quanto riguarda le politiche a favore del meridione è stato anche risolutivo ma molto condizionato in alcune scelte dal suo amore per il territorio di origine.

Gli studi di giurisprudenza ultimati a Torino dopo la maturità classica conseguita al liceo Telesio di Cosenza lo formano in ambiente  contestualmente Gramsciano, Azionista e Industriale.

di Renè Corona

Giorgos Seferis si chiedeva: ”Perché scriviamo dei versi?” e rispondeva  a se stesso sulla pagina del suo Diario “Sebbene siano cose segrete (per colui che le scrive) le crediamo più importanti di qualsiasi cosa. Questa necessità vitale.” (24 ottobre 1946)

Poi in un’altra pagina continua: “Ho finito di scrivere la poesia […] non so se è una bella poesia, so solo che è finita. Adesso la devo lasciare asciugare.” (31 ottobre 1946).

Aggiungerei: Una volta nella metropolitana di Parigi , prima di arrivare al binario, c’era un portillon, una porta di ferro (è strano il diminutivo, in realtà era proprio un portone pesante) che, un po’ prima dell’arrivo del convoglio, si chiudeva lentamente e quindi la gente cercava fino all’ultimo di intrufolarsi per non perdere il metrò.

Ecco “necessità” e stendere per far asciugare” e “portillon”.

Ancor prima di asciugarsi dall’inchiostro (inchiostro come lacrime?) le parole vogliono salire nel vagone e quindi spingono, spingono per tentare di starci dentro.

Ma anche l’altra immagine è interessante: il poeta come una lavandaia toglie il sovrappiù (e non è facile, le esclusioni sono tante, tagliare è un po’ come partire o come morire e scegliere è complicatissimo) e poi stende i panni.