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di Franco Costantino

INTRODUZIONE

Parto dalle conclusioni aperte del libro per condividerne la sostanza.

Il politico Mancini, nel corso della sua lunga militanza politica ha accumulato più meriti che colpe e il libro di Paride Leporace ha sicuramente il gran merito di restituire alla memoria, soprattutto dei giovani, nel ventennale della morte, le principali tappe  dell’azione politica e di governo di Giacomo Mancini ininterrottamente parlamentare, per 44 anni, da 1948 al 1992 e più volte ministro della Repubblica, oltreché segretario del Partito Socialista e Sindaco di Cosenza per ben 3 volte. Una volta da giovane nella prima Repubblica e 2 volte con l’elezione diretta nel 1993 e nel 1997, dopo di che anche il Sindaco del dopo Mancini è stata espressione della sua precisa volontà.

C’era bisogno di aggiungere una nuova ricostruzione della vicenda politica ed umana di un uomo politico su cui i giudizi sono stati spesso contrastanti?

Dopo aver letto il libro io penso proprio di si.

La partizione del libro è organizzata per capitoli che potrebbero essere valutati in piena autonomia ma che accostati l’uno all’altro consentono di leggere il quadro completo dell’intera esistenza di quello che è stato definito “Avvocato del SUD”

A me riesce meglio pensare alla figura di Mancini come politico di caratura nazionale che per quanto riguarda le politiche a favore del meridione è stato anche risolutivo ma molto condizionato in alcune scelte dal suo amore per il territorio di origine.

Gli studi di giurisprudenza ultimati a Torino dopo la maturità classica conseguita al liceo Telesio di Cosenza lo formano in ambiente  contestualmente Gramsciano, Azionista e Industriale.

La politica per Giacomo Mancini è stata materia familiare sin dall’infanzia. Forse troppo.

Il padre Pietro è stato il primo deputato socialista della Calabria ed anche Ministro della Repubblica, fatto oggetto di un’aggressione fascista sul treno subito dopo il delitto Matteotti quando Giacomo aveva appena 8 anni.

Il figlio Pietro è stato Sindaco di Cosenza nei primi anni 90 e il nipote Giacomo, prima consigliere provinciale e comunale, poi deputato a 28 anni, rieletto alla Camera una seconda volta, e infine componente di una Giunta Regionale centrodestra. 

MANCINI PARTIGIANO

Interessantissimo è il capitolo che ricorda il Mancini partigiano – quello meno noto e pubblicizzato-

L’armistizio lo sorprende  a Cosenza da ufficiale dell’aeronautica.

Non ha esitazione il giovane Giacomo a portarsi a Roma insieme allo zio dell’autore – Mauro Leporace-  anch’esso ufficiale dell’aeronautica. 

Tra l’essere azionista o socialista Mancini propende la militanza socialista che lo porta a contatto con Sebastiano Vassalli capo dell’organizzazione militare socialista il quale lo nomina addirittura suo vice.

Dopo l’arresto di Vassalli Giacomo assume il ruolo di guida delle brigate socialiste e nel ’44 fonda la prima sezione socialista romana occupando la casa del musicista Piero Mascagni scappato al Nord.

E’ lui a dover riconoscere, proprio il giorno della liberazione il cadavere di Bruno Buozzi assassinato da nazisti in fuga da Roma

MANCINI MINISTRO DELLA SANITA’

Nel 1947 dopo un esperienza di consigliere comunale e di segretario della federazione provinciale del partito entra a far parte della direzione nazionale e l’anno dopo diviene per la prima volta deputato schierandosi con il fronte popolare.

Da politico nazionale vede nel centrosinistra la soluzione dei mali nazionali.

Con il governo Moro, insediatosi verso al fine del 1963 come primo governo organico di centrosinistra, Mancini assume il suo primo incarico di governo da Ministro della Sanità e si rivela politico autorevole e decisionista, capace di imporre, contro la volontà di molti, la somministrazione generalizzata del vaccino Sabin capace di immunizzare dalla terribile epidemia di poliomelite che affliggeva la popolazione italiana, soprattutto giovane, fin dagli anni 1938-39.

Il vaccino Salk utilizzato fin dal 1950 non si era rivelato efficace e nonostante Sabin avesse trovato nel 1952 il vaccino di svolta questo non venne utilizzato in Italia fino alla decisione drastica di Mancini, presa dopo più di 10 anni dalle prime somministrazioni del vaccino Sabin che veniva utilizzato con successo tanto negli Stati Uniti quanto nell’URSS e nei paesi del Patto di Varsavia.

Il ministro della sanità  Raffaele Giardina arrivò a dichiarare che prima di utilizzare un vaccino come il Sabin sarebbero dovuti passare sulla sua poltrona.

Nel frattempo erano sorti in Italia stabilimenti per la produzione del Salk ed erano state invece negate le autorizzazioni.

Con il successore di Giardina, il Ministro Jervolino, le cose non cambieranno.

Finalmente, con la formazione del primo governo Moro del 1963, il Ministero della Sanità finisce nelle mani del non ancora cinquantenne Mancini e la musica cambia unitamente al destino di intere generazioni di giovani finalmente libere dagli effetti invalidanti di un terribile virus in diffusione inarrestabile in Italia da più di 25 anni.

Si tratta, a mio giudizio, di una coraggiosa decisione politica che da sola basterebbe per far pendere la bilancia in favore di qualunque uomo di governo a prescindere da altre azioni politiche eventualmente meno illuminate.

MANCINI MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI

Mancini fu anche un importante Ministro dei Lavori Pubblici del II° e III° Governo Moro dal 1964 al 1968 e con il I° Governo Rumor da dicembre 1968 ad agosto 1969, e ancora Ministro per gli interventi straordinari per il Mezzogiorno con il Governo Rumor V° nel 1974.

Da Ministro dei LL.PP.  va ricordato per la famosa circolare 425 del gennaio 1967 che si occupava degli standard residenziali e affronta per la prima volta il problema delle barriere architettoniche e, soprattutto, della riorganizzazione dell’apparato amministrativo di settore al fine di rendere efficace l’azione di governo.

E’ di quel periodo il grande dibattito sulla speculazione edilizia innescato dal capolavoro di Francesco Rosi che aveva portato nelle sale cinematografiche “Le mani sulla città” e lo sconcerto per le conseguenze della frana di Agrigento dell’estate del 1966 sulla quale pesavano come un macigno le scelte scellerate degli amministratori locali in relazione all’uso del territorio a fini di sconsiderata speculazione edilizia.

La Commissione da lui insediata per accertare le cause di quanto accaduto mise nero su bianco l’assenza dell’interesse pubblico nell’azione comunale, “la quale appare dominata soltanto dalla preoccupazione di favorire – comunque ed a qualunque prezzo – le singole iniziative costruttive” e “la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese che trovava in Agrigento la sua espressione limite”.

Il ministro socialista decise immediatamente di agire ispirando l’approvazione della cosiddetta “legge ponte” .

Il varo fu rapido, indotto anche dalle alluvioni di Firenze e Venezia.

La "legge ponte" fu considerata un baluardo del riformismo praticato dal centrosinistra di quegli anni, esemplare non solo nel campo dell' urbanistica, ma per altri settori della vita pubblica, in virtù dei molti elementi di programmazione e di pianificazione che intendeva introdurre nel sistema.

La "legge ponte" limitava le possibilità di edificazione nei comuni che non si erano dotati di strumenti urbanistici (il 90 per cento, allora, dei comuni italiani) e cercava di incentivare la formazione dei piani.

Per i comuni inadempienti era previsto l'intervento sostitutivo degli organi dello Stato.

Un' altra delle innovazioni riguardava i cosiddetti standard urbanistici, cioè le quantità minime di spazio che ogni piano doveva riservare all' uso pubblico, stabilendo che ciascun cittadino aveva diritto a un minimo di 18 metri quadrati di spazio per abitante insediato (per asili nido, scuole, attrezzature culturali, assistenziali, amministrative, religiose, sociali, sanitarie, parcheggi pubblici, verde, gioco e sport).

Gli standard sono tuttora vigenti.

Come tante altre intraprese di riforma anche la "legge ponte" però rimase in parte un’occasione persa. perché durante il dibattito parlamentare fu approvato un emendamento dei liberali che fece slittare di un anno la sua entrata in vigore: e così dal 1° settembre 1967 al 31 agosto 1968 l'Italia fu invasa da licenze edilizie, talvolta, in prossimità della scadenza della moratoria, istruite, esaminate, approvate e firmate in un solo giorno.

Gli effetti deleteri di quell’emendamento si riflettono ancora oggi sulla qualità del patrimonio edilizio soprattutto privato.

Non meno importante è la vicenda relativa alla costruzione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, che agganciò la nostra regione al resto del Paese e nella quale Mancini ebbe un ruolo fondamentale, sfoderando ancora una volta le sue qualità politiche e l’idiosincrasia per tutto ciò che rappresentasse un ostacolo o una limitazione alla sua azione politica.

Direttori generali compresi, rimossi in un batter d’occhio per manifesto, a suo parere, intollerabile ostruzionismo, forse, chissà, in qualche modo ammantato anche di pensieri e pregiudizi antimeridionalisti.

La ricostruzione che ne fa l’autore del libro tuttavia, a me pare, condivisibile solo in parte perché non credo che si tratti di narrazione a vanvera quella che pone ancora oggi in discussione la scelta di quel tracciato stradale.

  • oltre 40 anni di interruzione del percorso viario autostradale per una frana che ha danneggiato 2 importanti viadotti (Taggine e Sirino) nei pressi di Lagonegro;
  • l’enorme difficoltà ancora attuale di realizzare le semplici corsie d’emergenza nel tratto che superata Cosenza si trasferisce verso Falerna;
  • la difficile percorribilità nel periodo invernale di un’autostrada che per oltre 200 Km ha le caratteristiche tipiche delle autostrade “di montagna” e che presenta lo svincolo alla quota altimetrica autostradale tra le più alte d’Europa -quello di Campotenese - in Calabria a 1.050 metri sul livello del mare.- con una successione frequente di gallerie e viadotti.
  • l’enorme prezzo pagato in tanti anni in termini di maggior inquinamento;

non sono questioni che possano essere sottovalutate perché di queste difficoltà ne ha sofferto una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti se si considera com’è corretto anche la popolazione della Sicilia.

Dico questo perché, a mio parere si sta ripetendo, ora come allora lo stesso errore con il percorso ipotizzato per realizzare l’alta velocità/capacità nel tratto a sud di Battipaglia.

Non che Cosenza e i territori montani non avessero diritto ad essere serviti da una moderna ed efficiente infrastruttura stradale ma potevano ben essere attuate altre adeguate soluzioni tecniche senza penalizzare il servizio di una popolazione 70-80 volte più grande.

A mio avviso, in quella occasione è prevalsa la visione localistica sentimentale a scapito della visione strategica.

DOMANDE PER L’AUTORE

  1. MANCINI E IL MOVIMENTISMO RIVOLUZIONARIO

Non sono stati mai tenuti in ombra i persistenti rapporti con vari personaggi vicini ai gruppi che a cavallo tra gli anni sessanta e settanta e fino all’assassinio di Aldo Moro predicavano anche la lotta armata per rovesciare l’egemonia del capitalismo dominante. Franco Piperno tra tutti ma non solo.

Tuttavia questi rapporti generarono equivoci che una certa pubblicistica strumentalizzò molto arrivando a ipotizzare la figura del “Grande Vecchio” dell’eversione italiana da identificare nella persona di Giacomo Mancini.

Pesava forse ad alimentare l’equivoco il fatto la figlia Giosi, di orientamento radicale era stata sposata con Paolo Lapponi coinvolto nelle vicende dell’unione dei comunisti combattenti.

Può aver influito quest’ultima vicenda familiare oltre ad una certa formazione politica impregnata di spirito anarchico.

Tu cosa ne pensi?

  1. MANCINI UOMO DI CULTURA – PREMIO SILA E GIORNALE DI CALABRIA

Mancini fu intellettuale molto raffinato e amante della cultura in tutte le sue declinazioni.

A soli 33 anni, nel 1949, fonda insieme a Mauro Leporace e a Raffaele Cundari il “Premio Sila”.

Fu coinvolto per questo in una vicenda dai risvolti giudiziari quando nel regolamento del Premio inserì la norma che prevedeva che i libri finalisti venissero letti nelle scuole. 

Il caso scoppiò quando tra i finalisti risultò anche Vincenzo Guerrazzi con il libro “Nord e Sud Uniti nella Lotta” che fu sequestrato e diede luogo ad un processo.

Mancini capì ben presto l’importanza della comunicazione e tento di arginare la comunicazione dominante in Calabria, chiaramente conservatrice e destrorsa della Gazzetta del Sud facendo nascere il Giornale di Calabria affidato alla direzione di Piero Ardenti, di orientamento politico vicino al PSIUP, e con il coinvolgimento di giovani giornalisti poi affermatisi in campo nazionale, tra cui Paolo Guzzanti.

La nascita fu possibile con l’impiego dei finanziamenti dell’industriale Rovelli fruitore di molti aiuti di Stato per la produzione nei suoi stabilimenti chimici e infatti la pubblicazione del giornale stampato a Piano Lago cessò quando Rovelli non ebbe più interesse a sostenere questa iniziativa editoriale.

Come è stato possibile, a suo parere, conciliare l’indipendenza di un giornale chiaramente orientato a sinistra, con gli interessi di un capitalista come Rovelli?