fbpx

 

 di Anna Foti

Jane Austen, Charlotte ed Emily Bronte, Maria Edgeworth e Fanny Burney, attraverso i loro romanzi e le donne e gli uomini protagonisti delle loro storie, hanno marciato al fianco delle altre donne per il riconoscimento del Suffragio Universale.

Lo hanno fatto affidando la loro presenza a stendardi colorati nati dalle mani e dalla passione civile delle donne riunite, su impulso dell’artista britannica Mary Lowndes, nell’associazione Artists’ Suffrage League (ASL), la Lega delle artiste per il Suffragio Universale che realizzava anche vessilli e decorazioni per abiti. I loro nomi su questi stendardi hanno camminato sulle gambe delle scrittrici, componenti del gruppo considerato tra i più attivi, e accanto alle ali dell’Aquila, simbolo della Women Writers’ Suffrage League.

Donne di tutte le professioni avevano formato, infatti, dei gruppi per dare voce a questa battaglia di civiltà all’interno della National Union of Women’s Suffrage Societies (NUWSS), fondata nel 1897 per sostenere la causa del Suffragio Universale nel Regno Unito. Un movimento pacifico aperto anche alla partecipazione degli uomini.

di Saverio Occhiuto

Lo so, ci chiamavano terroni e facevano il tifo per i nostri vulcani gli amici lombardo-veneti. Ma era il tempo in cui il vento della secessione soffiava forte da quelle parti e il Sud era il parassita da seppellire sotto una colata incandescente. Ora che a passarsela male sono loro, costretti come appestati nelle “zone rosse” per via di quel virus altezzoso arrivato dalla Cina (addirittura con la corona sul capo) sarebbe troppo facile lasciarsi prendere dalla tentazione della rivalsa. Qualcuno ci ha già provato con i cartelli appesi sulle vetrine del proprio locale: “Ingresso vietato ai settentrionali”. Troppo facile. Per la prima volta ai meridionali si è invece presentata la straordinaria occasione di dimostrate agli amici delle ampolle sul Po che erano loro a sbagliarsi. E questo si può fare in un modo solo: aprendo i porti, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie, i musei, gli alberghi a chi un giorno potrà finalmente lasciare le zone dell'epidemia per tornare a muoversi liberamente sul territorio nazionale. Il primo invito a riprendersi la vita dovrebbe arrivare proprio da città come Napoli, Palermo, Catania, Reggio Calabria... Già, e il virus? Ma cosa vuoi che tema (come ha suggerito un video pieno di autoironia apparso sui social) chi mangia il panino ca meusa per strada, tra i vicoli di Palermo, o le cozze “a crudo” immunizzate solo da qualche goccia di limone tra quelli di Napoli? A noi, è il caso di dire, il virus sovrano arrivato dalla Cina ci fa un baffo.

 

di Anna Foti

18 febbraio 1943, università Ludwig Maximilian di Monaco

«Il nostro popolo è pronto a ribellarsi contro la schiavitù dell’Europa decretata dai nazisti in un nuovo, fervente impeto di libertà e onore».

Neppure un foglio di quel sesto volantino doveva restare sul fondo di quella valigetta perché quell’appello era indifferibile e quella causa di libertà non poteva più aspettare.

Così fino all’ultima, tutte le copie di quel sesto volantino - sembra che un settimo fosse già pronto - uscirono dalla clandestinità per raggiungere la coscienza dei studenti tedeschi e denunciare gli inganni del Nazismo e gli orrori della dittatura e della guerra.

Per questa impellente urgenza, era stato istintivo tornare indietro, quel 18 febbraio 1943, per non disperdere alcuna di quelle parole, per dare fondo a quella valigetta, come si fa con i sogni, lì nell’androne del luogo in cui i sogni si alimentano, in cui i giovani si appassionano di conoscenza, di ideali e di futuro: l’Università.

Così a Monaco di Baviera, nel cuore del Terzo Reich, l’Universita’ Ludwig Maximilian fu la pagina su cui un gruppo di giovani cristiani tedeschi scrisse una Storia di coraggiosa Resistenza alla dittatura che minacciava la Libertà di tutti.

«Non dimenticate che ciascun popolo merita il regime che accetta di sopportare», Fredrich Schiller - primo volantino

 

Ci sono storie che in realtà non hanno una fine precisa perché, nelle pieghe inattese, miracolose e straordinarie della vita, sanno reinventarsi, continuando a dire qualcosa al mondo e a testimoniare la speranza, anche in un orrore senza fine come fu la Shoah.

Nel campo di sterminio di Auschwitz I, nella città polacca di Oswiecim, oggi museo statale e dal 1979 patrimonio Unesco, una cartina fotografa la provenienza dei convogli verso le camere a gas. C’è anche l’Italia con le sue  città di partenza Fossoli, Bolzano, Verona, Trieste, Roma. Ci sono anche i dati con il numero di ebrei deportati all’inferno, partiti da diversi paesi europei: Ungheria (430 mila ebrei); Polonia (300 mila); Francia (69 mila); Olanda (60 mila); Grecia (55 mila); Boemia e Moravia (46 mila); Slovacchia (27 mila); Belgio (25 mila); Austria (23 mila); Yugoslavia (10 mila); Italia (7mila e 500); Norvegia (Seicentonovanta).

C’è anche l’Italia, dunque, tra i paesi che hanno contribuito all’orrore e che ora contribuiscono alla salvaguardia del presidio di Memoria, come impresso sul marmo all’ingresso del campo. Nessuna indulgenza, dunque, dovrebbe essere ammessa per il Belpaese, fosse stata anche una sola la vittima fatta uscire dai confini con quella destinazione infernale.