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di Anna Foti

"O donne povere e sole, violentate da chi non vi conosce.
Donne che avete mani sull'infanzia esultanti segreti d'amore, tenete conto che la vostra voracità naturale non sarà mai saziata.
Mangerete polvere come io mangio polvere, cercherete di impazzire e non ci riuscirete, avrete sempre il filo della ragione che vi taglierà in due. Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere".

Alda Merini

Le chiamavano farfalle (Mariposas), prima che la cieca violenza del regime interrompesse il loro volo verso la libertà. Patria Mercedes, Minerva Argentina e Antonia Maria Teresa. Tre donne, le sorelle Mirabal. Unite nel sangue dalla nascita fino alla morte, attiviste politiche, più volte imprigionate e torturate per la loro opposizione alla dittatura di Rafael Leonidas Trujillo degli anni ’60 nella Repubblica Domenicana. Il 25 novembre del 1960, dopo aver visitato i mariti in carcere, trovarono la morte in un campo di canna da zucchero dove erano state trasportate per essere brutalmente uccise. In memoria di questo orrore nella stessa data del 1981, un mese prima dell’entrata in vigore della Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione nei confronti delle Donne, si tenne la prima Conferenza di Donne Latinoamericane a Bogotà in Colombia. In quella occasione fu proclamata la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne. L’unica sorella Mirabal sopravvissuta, Bélgica Adele detta Dedé, ha curato le pagine del libro di memorie Vivas en su jardin dedicato alle sorelle, come fossero «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle». Ha coltivato memoria, crescendo anche i sei nipoti orfani, figli delle sorelle uccise. La loro vita è stata anche raccontata dalla scrittrice Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies (2004), interpretato da Salma Hayek.Nel tentativo di perpetuare il ricordo del loro sacrificio, simbolo di libertà dalle dittature, nel 1999 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con risoluzione 54/134, ha ufficializzato il 25 novembre come Giornata Internazionale per l'eliminazione della Violenza contro le Donne. Radicata nella discriminazione di genere, la violenza sulle donne rappresenta la violazione dei diritti umani più diffusa nel mondo. Un allarme che non risparmia l’Italia. L’ultimo report diffuso dalla Polizia di Stato nell'ambito del progetto "Questo non è amore" attuato nel 2019, riferisce di 88 vittime ogni giorno: una donna ogni 15 minuti. In Europa, una donna su quattro subisce violenza, prevalentemente per mano del marito o del compagno, con punte drammatiche in Svezia, Francia e Spagna. In Russia una donna ogni ora muore per violenza domestica. La situazione risulta notevolmente aggravata dall’impunità, causata da sistemi giudiziari non imparziali e corrotti, impianti legislativi carenti e inadeguati, regimi di tollerabilità dettati da retaggi culturali e tradizioni patriarcali e maschilistici. Il mancato accertamento delle responsabilità attanaglia molti paesi, in cui tale fenomeno è quasi endemico. E’ così che tale piaga rimane drammaticamente privata, pur essendo invece una ferita sociale. E’ così che tale piaga resta invisibile e pare totalmente incurabile, oltre che inguaribile.

Violenza sulle donne, la più grave violazione dei diritti umani

La forma di violenza sulle donne più comune si consuma tra le mura domestiche, quelle più insospettabili e invece più profanate. Forme di discriminazione caratterizzano ormai anche il luogo di lavoro. Una violenza che si espande quando il diritto di denunciare è soffocato dalla vergogna o dall’impunità, e il bisogno di raccontare dall’indifferenza. Essa non conosce confini geografici e la sua mappatura nel mondo è complessa, senza zone franche. Donne vittime di culture, di tradizioni disumane che ne pregiudicano libertà e integrità, di consuetudini sociali che ne ostacolano l’affermazione in quanto esseri umani. Un flagello che colpisce milioni di donne nel mondo non solo vittime di violenza domestica ma anche di discriminazioni e tradizioni ed usanze inumane e degradanti come l’infibulazione, il matrimonio forzato, il delitto d’onore. Milioni di donne abusate, mutilate, condannate a morte senza processo, giudicate irreversibilmente da parenti e dalla comunità. Migliaia quelle analfabete, escluse dalla società, schiavizzate, vendute e comprate, soggette a ferree regole familiari che ne mortificano la dignità, ne cancellano l’identità, ne condizionano la vita e ne decidono persino la morte. Vittime dei conflitti e di stupri etnici. Donne cittadine di serie B ma anche testimoni cruciali di quella violenza che nasce nella mente e si nutre pregiudizio. Donne che, anche da sole, portano avanti le battaglie che in realtà sono di tutti. L’allarme è dunque culturale e gli strumenti per incidervi richiamano le istituzioni, la scuola, la famiglia, la comunità ad un rinnovamento profondo, che non riguarda solo la dimensione di Genere, del concetto di Dignità, Libertà, Identità e Diversità.

Calabria, donne che non possono più raccontare la loro storia

Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti’. Sono parole di una donna, attivista per i diritti umani e first lady statunitense Eleonor Roosevelt, pronunciate negli anni Cinquanta anche con riferimento a quella che lei definiva la magna carta dell’Umanità, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Parole che scavano dentro la coscienza di ciascuno, imponendo un’attenzione al prossimo che non può prescindere dai contesti quotidiani. Eppure solo a guardarsi intorno, senza andare troppo lontano, tante sono le ingiustizie che si consumano sotto i nostri occhi; in tanti angoli anche della nostra Calabria quei diritti di tanti uomini e tante donne, bambini sono quotidianamente calpestati. Oggi si ricordano le donne i cui diritti sono stati negati, affinché la violenza contro di loro possa essere arginata e sconfitta.

Tanti di questi angoli di mondo in cui la Vita, la Dignità, la Libertà, l’Integrità delle donne sono state violate, si trovano anche in Calabria. Molte di queste storie non hanno ancora avuto giustizia. Nel cosentino il 26 luglio 1988 una giovane donna di Rende, Roberta, ha perso la vita. Al suo destino tragico potrebbe essere legata anche la morte brutale di un’altra donna calabrese, Rosaria Genovese. I genitori Matilde e Franco ancora attendono giustizia e con la fondazione intitolata a Roberta dal 1989 aiutano e supportano donne vittime di violenza. Nel 2014 Mary è stata uccisa dal marito a colpi di pisola a Monasterace e la madre Rosetta chiede pene più severe per suo "genero", condannato in secondo grado a 26 anni di reclusioni con il riconoscimento delle attenuanti generiche per omicidio non premeditato; a Reggio Immacolata è stata massacrata di botte dal marito nel 2013. Nel 2014 stesso anno la sedicenne Fabiana, nel catanzarese, è stata bruciata viva dall’ex fidanzato neppure diciottenne. A Reggio Calabria nel 2012 Madalina 'è volata' da un palazzo di via Bruno Buozzi e da quella sera per la madre Gabriella è iniziata la battaglia per la Verità su quella morte, una verità difficile da scoprire e da svelare, una verità evidentemente scomoda. A Montebello Jonico in provincia di Reggio Calabria, nella frazione di Fossato, Orsola nel 2008 è stata uccisa a colpi di pistola dal marito. La vita di altre due donne reggine è stata spezzata a Brescia nel 2012. Francesca e la figlia Chiara, uccise dell’ex compagno di lei a colpi di pistola. Uccisi anche il fidanzato di Chiara, Domenico, colpevole di essere stato già uomo a 18 anni, coraggioso, innamorato e responsabile, e l’uomo con cui Francesca era uscita quella sera, Vito. Una vicenda che ha avuto subito giustizia con la condanna del colpevole all'ergastolo. Uno strappo dell'anima che, tuttavia, non si ricuce per le quattro famiglie lacerate. Il padre di Domenico, Benedetto ha scelto di tiene costantemente viva la memoria dei giovani reggini, il suo giovane figlio Domenico e la fidanzata Chiara, del loro amore già così forte e profondo. Pensare allo spirito e al coraggio di questo giovane ragazzo e a questi padri che lottano per la verità, la giustizia e la memoria, ci aiuta a sperare che anche e soprattutto insieme a loro, e con il loro prezioso contributo, questa atroce violenza potrà essere debellata.

L'altra metà del cielo capovolto

Il cammino per l’affermazione sulla carta dei diritti delle donne è cominciato nel secolo scorso con la Convenzione sui diritti politici della donne del 1952, la Convenzione sulla nazionalità delle donne sposate del 1957, la Convenzione per il Consenso al Matrimonio, l'Età Minima per il Matrimonio e la Registrazione dei Matrimoni (1962), la Dichiarazione sull’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne del 1967, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 1979, nota anche come Cedaw - Convention about Elimination of Discrimination Against Women. Tutti documenti che in questi decenni hanno tracciato l’inizio di un percorso condiviso, ufficializzato ed avviato a livello mondiale proprio con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. Ad oggi si registra l’approdo, con la Convenzione di Istanbul del 2011, alla prevenzione della lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

In Italia il cammino è cominciato tardi nel 1996 con la configurazione della violenza sessuale come delitto contro la persona e non più contro la morale. Nel 2013 la nuova legge di contrasto alla violenza di genere (decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito in Legge 15 ottobre 2013, n. 119 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 ottobre 2013, n. 242) ha introdotto pene più aspre (maltrattamento perpetrato in presenza di minore degli anni diciotto, contro donne in stato di gravidanza o consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner); in caso di stalking sono state estese le aggravanti a fatti commessi dal coniuge pure in costanza del vincolo matrimoniale e a quelli perpetrati da chiunque con strumenti informatici o telematici ed è stata introdotta l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori nei casi di gravi minacce ripetute, ad esempio con armi).
Inoltre in tema di maltrattamenti in famiglia è stata assicurata una costante informazione alle parti offese sui relativi procedimenti penali, è stata estesa la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette allorquando la vittima sia particolarmente vulnerabile o una persona minorenne, è stato esteso ai delitti di maltrattamenti contro famigliari e conviventi il ventaglio delle ipotesi di arresto in flagranza. Estesa anche alle vittime di questi reati, la possibilità di accedere la gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito (come per le vittime di mutilazioni genitali femminili).

E’ stato inoltre previsto che in presenza di gravi indizi di colpevolezza di violenza sulle persone o minaccia grave e di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone, il pm – su informazione della polizia giudiziaria - possa richiedere al giudice di irrogare un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.
Sempre in attuazione della Convenzione di Istanbul, previsto anche il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione (Tutela vittime straniere di violenza domestica, concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari - art. 18 del TU per le vittime di tratta), il potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza, la formazione specifica degli operatori.

I dati sono allarmanti, i casi di violenza e gli omicidi in aumento. Il cammino è ancora lungo ed in salita.

"Nessuna lotta può concludersi vittoriosamente se le donne non vi partecipano a fianco degli uomini. Al mondo ci sono due poteri: quello della spada e quello della penna. Ma in realtà ce n’è un terzo, più forte di entrambi, ed è quello delle donne", dice il più giovane premio Nobel per la Pace, l'attivista pachistana Malala Yousafzai. L’uguaglianza dei diritti è una sfida di civiltà e dunque universale. Donne e uomini, indistintamente, rappresentano i tasselli fondamentali del puzzle eterogeneo, e per questo straordinario, dell’Umanità. Risorse necessarie per quel cambiamento che recuperi quella metà di cielo offuscata dall’assenza di diritti e dalla negazione di dignità e libertà, e al contempo individui nella pari dignità, l’unica meta di un nuovo e necessario cammino Comune. Per una società più Giusta e più Libera per Tutti.