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di Anna Foti

"Se dovessi sintetizzare i quattro punti cardinali della vita di questo grande artista calabrese, direi che sarebbero la sua Albertina, la famiglia o Jenia come egli amava definirla, le sue espressioni artistiche, l’attivismo politico e in esso certamente Gramsci", esordiva nel 2018 lo scrittore palmese Natale Pace in occasione di un incontro promosso dal circolo Rhegium Julii e dedicato al concittadino Leonida Repaci. Quattro punti cardinali rintracciabili anche nella pubblicazione dal titolo "Mio caro Leonida", che nel 2019 lo stesso Natale Pace ha dato alle stampe con i caratteri di Luigi Pellegrini Editore, amico di Leonida, che ha recentemente annunciato che pubblicherà un'opera omnia comprendente la ristampa di tutte le opere del fondatore del premio Viareggio.

Le lettere capaci di fermare momenti nella Storia e destinate ad attraversare decenni e oltre. Le lettere e la loro talento di parlare da altre epoche e di altre epoche e delle persone che le hanno percorse. Per il loro autorevole e luminoso tramite Natale Pace ha scelto di raccontare la storia di Leonida Repaci e, con essa, anche pagine della storia del nostro Paese.

di Anna Foti

Con amore e rigore racconta la città calabrese dello Stretto lo scrittore e intellettuale del Novecento, originario di Bovalino, Mario La Cava. A Reggio lo legò, nel tempo, un sentimento crescente e sconfinato al punto di rivendicare per la patria di Corrado Alvaro, Fortunato Seminara e Francesco Perri, un destino di città di cultura e di rara bellezza. Manifesto di questo amore è il volume “Lettere da Reggio Calabria”, contenente foto d’epoca e suoi scritti finora inediti e che il figlio Rocco, che ha in cura un patrimonio di altri elaborati mai pubblicati del padre nell’archivio di famiglia, ha raccolto in questo volume, edito da Nuove edizioni Barbaro, con il saggio introduttivo del critico letterario Giuseppe Italiano. Un vero e proprio omaggio alla città di Reggio Calabria da parte di Mario La Cava e suo figlio Rocco, pubblicato nel 2016.

Una vita trascorsa a vergare quotidianamente la carta con la sua penna asciutta, quasi frammentaria, convinto come era che lo scrittore dovesse rievocare la vita, esprimendo un dato naturale in modo fresco, ingenuo e personale, senza lasciarsi influenzare. La curiosa osservazione per Mario La Cava iniziava dalla sua Calabria e dalla provincia reggina, la sua provincia, con in sé tutto, folklore e grandi sentimenti in un intero mondo in miniatura.

di Anna Foti

        «Qui i paesani mi hanno accolto umanamente, spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno così con tutti. Il giorno lo passo “dando volta”, leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte; ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà, nel mio caso per tre anni. Per tre anni!» . Lo scrittore piemontese Cesare Pavese descrive così l’esperienza di confinato a Brancaleone nella lettera al suo professore Augusto Monti. «Studiare è una parola; non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un’inutile castità», prosegue ancora nella missiva. 

            Lo zibaldone - di leopardiana memoria -  è quello che lo scrittore piemontese inizia a scrivere il  6 ottobre 1935 a Brancaleone.
 «Che qualcuna delle ultime poesie sia convincente, non toglie importanza al fatto che le compongo con sempre maggiore indifferenza e riluttanza. Nemmeno importa molto che la gioia inventiva mi riesca qualche volta oltremodo acuta. Le due cose, messe insieme, si spiegano coll’acquisita disinvoltura metrica, che toglie il gusto di scavare da un materiale informe, e insieme interessi miei di vita pratica che aggiungono un’esaltazione passionale alla meditazione su certune poesie».  

di Anna Foti

"Sono andato al parco, quella sera, perché volevo fare una cosa per me. Ma siccome non era questo il mio destino è successo che ho fatto una cosa per tutti". Così Giuseppe - come riportato nel volume "Muori cornuto. Giuseppe Zangara, l'uomo che tentò di uccidere il presidente Roosevelt" di Arcangelo Badolati e Peppino Mazzotta, stasera al centro della conversazione in programma alle ore 21:30 al circolo Polimeni di Reggio Calabria, nell'ambito dei Caffè Letterari del Rhegium Julii - risponde all'agente che lo interroga nel tentativo di trovare prove circa la presenza di altri complici e di un complotto criminale contro la civile società Americana. Quella stessa che nel secolo scorso consentì di oltrepassare le sue  frontiere a tanti poveri emigranti italiani, e soprattutto meridionale, per poi sfruttarli, maltrattarli, relegarli ai margini, discriminarli, tradendo il sogno americano di un riscatto negato in Patria e da conquistare Oltreceano, seppur con fatica, ma con dignità.