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di Anna Foti

"Se dovessi sintetizzare i quattro punti cardinali della vita di questo grande artista calabrese, direi che sarebbero la sua Albertina, la famiglia o Jenia come egli amava definirla, le sue espressioni artistiche, l’attivismo politico e in esso certamente Gramsci", esordiva nel 2018 lo scrittore palmese Natale Pace in occasione di un incontro promosso dal circolo Rhegium Julii e dedicato al concittadino Leonida Repaci. Quattro punti cardinali rintracciabili anche nella pubblicazione dal titolo "Mio caro Leonida", che nel 2019 lo stesso Natale Pace ha dato alle stampe con i caratteri di Luigi Pellegrini Editore, amico di Leonida, che ha recentemente annunciato che pubblicherà un'opera omnia comprendente la ristampa di tutte le opere del fondatore del premio Viareggio.

Le lettere capaci di fermare momenti nella Storia e destinate ad attraversare decenni e oltre. Le lettere e la loro talento di parlare da altre epoche e di altre epoche e delle persone che le hanno percorse. Per il loro autorevole e luminoso tramite Natale Pace ha scelto di raccontare la storia di Leonida Repaci e, con essa, anche pagine della storia del nostro Paese.

"La valorizzazione dell'epistolario, in queste pagine, deve molto al lavoro puntuale e meticoloso di Natale Pace che, per ciascun interlocutore e per ogni fatto o situazione che riguarda lo scambio delle lettere con Leonida, ricostruisce i riferimenti fondamentali necessari per metterne a giusto fuoco il senso e le ragioni", scrive nella prefazione il poeta Paolo Ruffilli, di cui nel volume è riportata l'affettuosa lettera scritta a Leonida Repaci all'indomani della visita alla Pietrosa nel 1982. "Che emozione! Questa bella villa, tra pini e ulivi, su una punta che precipita in un mare ulissiaco...E le stanze con i libri, le carte, i segni del tuo passaggio. Quante cose, improvvisamente, mi si sono chiarite e illuminate della tua narrativa, del tuo mondo, della tua personalità". 

Una vita da intellettuale dentro la storia del Novecento. Leonida Repaci*, poliedrico animatore culturale, scrittore, saggista, giornalista, attivista politico e antifascista nella Resistenza romana, così emerge dalle corrispondenze che intrattenne. Di particolare interesse fu il rapporto tra Leonida Repaci e Antonio Gramsci e quei contenuti pubblicati postumi sui "Quaderni del Carcere" di quest'ultimo, contenenti ingiurie e offese nei confronti del suo amico e compagno di lotte di un tempo, Leonida Repaci, per motivi da ricondurre agli eventi del 1925 a Palmi. L'arresto, l'incarcerazione, la liberazione di Repaci stesso, ottenuta con l'intercessione di Mussolini, e le successive immediate dimissioni dal partito Comunista dello stesso Repaci fecero molto discutere. Lo stesso Repaci, presidente del premio Viareggio che oggi porta anche il suo nome, avviato e portato avanti in pieno ventennio fascista proprio mentre Gramsci scontava la persecuzione politica, l'esilio e il carcere, nel 1947 intese e ottenne di operare una forzatura del regolamento volendo fortemente assegnare alle "Lettere dal carcere" (Einaudi) di Gramsci il premio postumo. Così fu, a scapito del favorito del momento, ossia lo scrittore Alberto Moravia. Proprio quest'anno, quel premio postumo è stato celebrato a Viareggio con una targa in memoria di Gramsci.

A questo rapporto controverso, necessario da indagare al momento di approfondire l'attività politica e la militanza antifascista di Leonida Repaci, è dedicato il carteggio d'esordio della pubblicazione di Natale Pace. Si tratta delle lettere di Umberto Terracini, Franco Perri, Valentino Garratana, Giulio Einaudi editore e del nipote Nino Parisi, incentrate proprio sull'intellettuale palmese Leonida Repaci e sull'intellettuale sardo Antonio Gramsci. Lo scrittore Natale Pace, richiamando questa vicenda in occasione dell'incontro promosso dal Rhegium Julii nel 2018, aveva invitato il pubblico ad una riflessione sulla Storia e sulle conseguenze che essa produce sulla vita di ciascuno, ponendo l'accento sull'evento che costituì il nodo alla base delle polemiche e delle aspre e severe considerazioni di Gamsci su Repaci. "(...) si è rimarcato sempre la scarcerazione avvenuta con l’aiuto dei Mussolini, calcando la mano sullo pseudo tradimento degli ideali comunisti. Ma, salvo qualche bravo studioso, ogni volta, volutamente si omette di rilevare la certa innocenza di Repaci, con la ritrattazione di cinque testimoni e il suicidio di due, pentiti di averlo accusato. Si omette volutamente di evidenziare come sia stata accertata storicamente la tesi del complotto ordito ai suoi danni, ai danni del povero Rocco Pugliese e degli altri infelici condannati".

Nell'ottantottesima edizione del premio Viareggio, fondato nel 1929 con Carlo Salsa e Alberto Colantuoni e che ebbe vita florida durante il ventennio interrompendosi solo durante la Seconda Guerra Mondiale e riprendendo alla fine della stessa, il sindaco della cittadina toscana, Giorgio Del Ghingaro, sottolineò proprio come "Fu Rèpaci in persona a voler assegnare il Premio postumo nonostante il fatto che il regolamento dicesse che dovevano essere premiati solamente autori viventi. Questo era Repaci e questo era il suo premio. Libero, fiero, fuori dalle regole che spesso impaludano certi ambienti letterari. Un premio che rispecchia lo spirito di Viareggio e l’anima più vera della città anche lei da sempre anarchica e fiera. Simbolo di libertà e di coraggio Viareggio: sorta a forza di braccia e di lavoro dalle acque ferme del lago che in questo punto si univano con quelle del mare. Libertà e coraggio che vogliamo vedere rispecchiati nelle linee guida del nostro Premio, nelle terne dei finalisti, nei vincitori". La stima dell'intellettuale calabrese verso Gramsci era infatti nota e da questo gesto era stata ulteriormente confermata. Tuttavia Leonida Repaci, in quel momento, non aveva ancora cognizione dei giudizi molto negativi che invece lo avrebbero riguardato e che sarebbero stati pubblicati postumi successivamente, creando uno strappo mai ricucito, come sottolineato dallo scrittore calabrese Francesco Fiumara in un articolo apparso sulla rivista Calabria nel 2006. Antonio Gramsci era, infatti, già morto nel 1937 e i pesanti giudizi su intellettuali prima vicini al partito Comunista, ed in particolare l'accusa di tradimento nei confronti di Leonida Repaci, furono resi noti solo nell'edizione dei "Quaderni del carcere" pubblicata sempre da Einaudi nel 1975. Nella prima pubblicazione, curata da Palmiro Togliatti tra il 1948 e il 1951, molte parti, tra cui queste, erano rimaste inedite.  

Proprio quell'estate del 1925, segnata dal conseguente arresto con altri comunisti e socialisti, in un contesto dell'epoca piuttosto infuocato, è definita non a caso crocevia della vita di Repaci da Natale Pace.

Terra di grandi sacrifici dei braccianti sfruttati nelle numerose proprietà terriere, Palmi era divenuta una roccaforte rossa il cui spirito antifascista attirava in fretta le antipatie del regime fascista subentrato. Le tensioni erano costanti. Il doppio boicottaggio del comizio del gerarca Michele Bianchi, gli arresti di militanti antifascisti, la distruzioni della sede locale del Fascio, scioperi e manifestazioni, incendi e disordini. Nel 1924 l’assassinio di Giacomo Matteotti, segretario del partito Socialista Unitario, aveva inasprito un clima già carico di tensioni. Nel 1925 i fascisti avevano osteggiato a Palmi la celebrazione del 1 maggio. Lo squadrismo nero nella città incontrava una insidiosa Resistenza e restava in attesa dell’occasione di una violenta repressione di chiaro carattere ritorsivo. L’occasione furono le celebrazioni della tradizione Varia nell’agosto del 1925 (lo scrittore calabrese Domenico Gangemi nel 2004 ha pubblicato sempre con i caratteri di Pellegrini un romanzo liberamente ispirato a queste vicende dal titolo “’25 nero”). I fascisti avevano imposto, infatti, con prepotenza il canto “Giovinezza” tra gli inni e la processione era stata così boicottata dalla maggior parte dei componenti delle cinque corporazioni addette al trasporto (Carrettieri, Marinai, Beccai, Artigiani e Contadini) che percepirono quell’imposizione come atto di grave prepotenza e indebita ingerenza.
In questo contesto, il 30 agosto immediatamente successivo maturò un nuovo scontro ai tavoli del caffè De Rosa, frequentato da comunisti e socialisti. Partirono dei colpi di pistola che ferirono due passanti e per errore due camice nere, Rocco Gerocarni, morto il giorno dopo, e Rosario Privitera. Era, dunque, l’estate del 1925 quando durante questo scontro tra fascisti e comunisti venne insanguinata una piazza affollata mentre il Fascismo avanzava in ogni angolo dello Stivale. Anche il destino del giovane e impetuoso Rocco Pugliese, classe 1903, da quella sera fu inesorabilmente segnato.
La reazione del regime non si fece attendere e il commissario di polizia Francesco Cavalieri arrestò molti antifascisti della zona, accusandoli di complotto, ammettendo solo in sede di processo che si trattò di arresti per motivi politici, per dissenso e opinione piuttosto che per omicidio, dunque finalizzati a destabilizzare la roccaforte antifascista che Palmi rappresentava. Tra gli arrestati anche Leonida Repaci, forse bersaglio dell’agguato con Pugliese, il fratello Giuseppe e alcuni cognati. Leonida fu detenuto nel carcere di Palmi dove rimase per sette mesi, dal 31 agosto 1925 al 31 marzo 1926. Rocco Pugliese fu arrestato e processato con le accuse di omicidio, tentato omicidio, atti tendenti a suscitare la guerra civile, insurrezione contro i poteri dello Stato.

Il procuratore generale presso la corte d’appello di Catanzaro chiese il rinvio a giudizio di trentuno persone per correità in omicidio premeditato. La corte rinviò a giudizio quindici persone presso la Corte di Assise di Palmi, prosciogliendo con formula piena o per insufficienza di prove, gli altri tra cui l’intellettuale Leonida Repaci. Non mancarono le polemiche per questo proscioglimento e mancato deferimento al tribunale speciale eccellente, ritenuto il frutto di sollecitazioni da parte di persone influenti e gradite al  Duce, vicine a Repaci. Natale Pace spiega che "l’intervento di alti esponenti fascisti a favore di Repaci per la sua scarcerazione è testimoniato direttamente da Leonida in una lettera ad Albertina e anche da Ida Fortebuono, cugina di Leonida, la cui intervista viene riportata da Mimmo Gangemi nel suo ’25 Nero': I Repaci, compresi Parisi e Mancuso, riuscirono a scamparla. Per l’amicizia di Gaetano con i Mussolini. Ne era il medico di famiglia. Anche Ciccio era stato amico di Mussolini, avevano militato insieme nel PSI, entrambi s’erano candidati alle politiche dopo la grande guerra. Ciccio a Torino, ma non fu eletto.”

Contribuirono ad arroventare il clima già teso, le dimissioni dello stesso Leonida Repaci dal partito Comunista, alle quali rispose un anonimo con un articolo (attribuito ad Antonio Gramsci) apparso su L’Unità. La spaccatura non fu mai ricucita. 

Nei mesi di carcere Rèpaci scrisse “In fondo al pozzo”, un romanzo in cui si riferisce anche alla vicenda della Varia del 1925. La vicenda di Rocco Pugliese, vista con gli occhi di Repaci, è raccontata dallo scrittore palmese Natale Pace nel suo saggio “Il debito. Leonida Repaci nella storia”, pubblicato nel 2006 per Laruffa Editore.

Ai fatti del 30 agosto del 1925 si è riferito lo stesso Repaci nella sua corrispondenza con Fortunato Seminara, scrittore contemporaneo di Maropati di Reggio Calabria, nell'accomunarsi al senso di smarrimento per la cattiveria di cui le persone sono capaci. La notte di Natale del 1975, Seminare aveva subito l'incendio della sua abitazione. Pur apprezzando la solidarietà, l'autore de "Le baracche" non ha rinunciato a criticarlo aspramente per essere emigrato: "chi è rimasto a patire in mezzo ai pericoli dei terremoti, delle alluvioni, anche dei crimini e chi si è messo al riparo delle comode case cittadine dai flagelli che affliggono la nostra terra".

Dopo il proscioglimento, nel 1929, con Carlo Salsa e Alberto Colantuoni, fondò il premio Viareggio che diresse fino alla morte, nel 1985. A Milano fu intensa l'attività che Leonida Repaci svolse, scrivendo fin dal primo numero per "L’Unità" e per lo stesso giornale tradusse "Il tallone di ferro" di Jack London. Sempre a Milano collaborò alla "Gazzetta del popolo" e a "La Stampa".

Da partigiano a Roma, Leonida Repaci fondò con Angiolillo, essendone poi anche per nove mesi condirettore, "Il Tempo", prima di passare nel 1945 alla direzione del quotidiano "L’Epoca", durato soltanto 14 mesi. In "Mio caro Leonida", Natale Pace porta alla luce una missiva scritta nell'immediato Dopoguerra al colonnello Charles Poletti, che si occupava degli affari civili nei territori liberati, per caldeggiare un suo intervento, dopo quello espletato per Il Tempo, a favore del trasferimento de L'epoca da Roma e Milano.

Una lettera di Cesare Pavese, che in Calabria (a Brancaleone) aveva trascorso il periodo di confino tra il 1935 e il 1936, attesta l'impegno antifascista dello scrittore palmese. In essa l'autore de "La luna e i falò" aderisce con entusiasmo e convinzione al convegno nazionale della Resistenza e della Cultura Italiana che si sarebbe svolto dopo qualche giorno dopo a Venezia. Era l'aprile del 1950. "E' evidente che l'avvenire nostro sta tutto qui, in questi operanti ricordi. Ripenso a Leone Ginzburg e Giaime Pintor, miei amici, e mi chiedo se in futuro sapremo essere degni di loro e degli altri, di tutti gli altri", aveva scritto Pavese a Repaci, quattro mesi prima di suicidarsi.

Leonida Repaci fu anche pittore, passione a cui si dedicò, allestendo anche delle personali, dopo aver vinto il Premio Sila nel 1970. I suoi interessi furono davvero molteplici. La pubblicazione di Natale Pace, riporta le corrispondenze con Camillo Pilotti (che proprio nel 1925 aveva messo in scena la sua "Madre incatenata), Paolo Tomei, Gian Franco Venè, Antonio Veretti che attestano la poliedricità di Leonida Repaci scrittore per il teatro e per l'opera lirica, reporter, giornalista e resocontista di viaggi, critico letterario. Spiccano anche i rapporti epistolari con il poeta Bruno Fattori, con uno tra i più longevi giurati del premio Viareggio, Ezio Raimondi, con il fondatore dell'ospedale di Melito Porto Salvo Tiberio Evoli (di cui brilla l'eleganza della grafia), con il giornalista e commediografo Gian Capo, con il sindaco di Palmi nel 1965 Bruno Bagalà, con l'avvocato Gaetano Sardiello, con il segretario del partito Comunista Italiano Luigi Longo, con l'autore satirico e poeta Lodovico Targetti, con il giornalista Corrado De Vita, con il patriota e prefetto Ettore Troilo, con l'antifascista e partigiana Matilde Finzi Bassi e con la giornalista e scrittrice Maria Fida Moro (figlia di Aldo Moro al quale Repaci dedicò una poesia), con il giornalista e storico Ruggero Zangrandi, con lo scrittore concittadino Domenico Zappone che sottoscrisse la petizione a sostegno del valore artistico de "Il deserto del sesso" (1957), per il quale Repaci fu sottoposto a processo e poi assolto.

Durante la prigionia, appassionato fu anche il rapporto epistolare con lei, che aveva conosciuto a Milano prima dell'arresto e che nel 1929 avrebbe sposato. L'Appendice del volume "Mio caro Leonida" propone alcune lettere e alcune liriche.

"(...) Ora la Rupe è muta, invano attende che tornino alla grotta, lassù dove un olivo è stato piantato a sentinella". La sua amata Albertina, nata Antonielli lasciò Leonida nel 1984, dopo quasi settanta anni di vita insieme. Per onorane la memoria, nel ricco archivio epistolare custodito presso la Casa della Cultura di Palmi intitolata proprio a Leonida Repaci, Natale Pace ha inserito nella pubblicazione la lettera che Leonida rivolse a Maria Bellonci, scrittrice e traduttrice e ideatrice con Guido Alberti del Premio Strega, dopo la morte dell'adorata moglie. "Gli interessi letterari non bastano a riempire il vuoto che lascia una vita trascorsa accanto ad una creatura incantevole e necessaria come Albertina. Farò ancora quel che potrò con le forze che mi restano, e sempre spendendomi per gli altri. Senza illusioni, naturalmente".

*Ha vissuto a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, fino al sisma del 1908, evento catastrofico che cambiò la vita di molte persone, costrette a ricostruire la propria vita altrove. Leonida Repaci, nato a Palmi il 5 aprile 1898, aveva solo dieci anni quando ciò accadde e solo qualche anno dopo a scoppiare sarebbe stata la Prima guerra mondiale. Nel frattempo si era trasferito all’estremo nord a Torino, dove uno degli altri nove fratelli esercitava la professione di avvocato. Qui avviò quegli studi giuridici che avrebbe completato solo dopo la chiamata alle armi nel 1919.

Nonostante il percorso universitario lo avesse condotto all’avvocatura, mai si spense in lui la passione per la scrittura che ad un tratto prese il sopravvento. Intanto iniziava anche l’impegno politico con l’iscrizione, negli anni Venti, al partito Socialista, con l’adesione al Movimento Operaio e con la collaborazione a L'Avanti e a Ordine Nuovo, sul quale Repaci si firmò anche con lo pseudonimo Gamelin, come il protagonista di un romanzo dello scrittore francese  Anatole France. Sono i tempi di Alfonso Leonetti, Gustavo Comollo, Nicola Cilla, Pia Carena, Piero Gobetti. Nella città della Mole, Repaci conobbe Antonio Gramsci, politico e intellettuale antifascista italiano, nel 1921 tra i fondatori del partito Comunista d’Italia di cui fu segretario generale tra il 1926 e il 1927.

L’impegno politico successivamente lo portò anche ad una candidatura (non sfociata in una elezione) al Collegio Senatoriale di Palmi nella lista del Fronte Democratico Popolare nel 1948, area politica alla quale si era riavvicinato dopo le dimissioni dal partito Comunista negli anni roventi del ventennio fascista e dopo i tragici fatti avvenuti a Palmi durante i festeggiamenti della Varia del 1925.

Inserito negli ambienti culturali romani, entrò in contatto con PierPaolo Pasolini, Guido Piovene, Alberto Moravia. Nel 1932 con "Fatalità contemporanea. Potenza dei fratelli Rupe" vinse il premio Bagutta. Nel 1956 fu la volta del Premio Crotone con "Un riccone torna alla terra" e due anni del Premio Villa San Giovanni con la "Storia dei fratelli Rupe". Nel 1984 con il poeta sloveno Ciril Zlobec fu insignito del primo prestigioso premio internazionale Città dello Stretto del circolo Rhegium Julii, che ha intitolato la sezione saggistica del suo storico premio letterario. Un cittadino cosmopolita, una penna poliedrica che ha lasciato una varietà di scritti tra poesia, saggistica, teatro e narrativa. Tra le sue opere anche il saggio dedicato al compositore conterraneo Francesco Cilea il cui museo ricco di spartiti, bozzetti di scena, manoscritti e documenti ha sede presso la Casa della Cultura a lui intitolata a Palmi.

Anche il suo rapporto con il cinema fu significativo. Il suo romanzo "La carne inquieta"(Ceschina 1933) fu trasposto sullo schermo da Silvestro Prestifilippo nel 1952, con l'interpretazione dell'attore Raf Vallone, originario di Tropea. Fece anche esperienze come attore ne "La dolce vita" di Federico Fellini nel 1960. Nel 1963 interpretò il pittore Balestrieri nel film "La noia", tratto dal romanzo del 1960 di Alberto Moravia e diretto dal regista Damiano Damiani.

Le sue innumerevoli e poliedriche opere scandirono la sua vita. Morì a Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca, nel 1985.

Ha parlato della sua terra nel suo celebre scritto “Quando fu il giorno della Calabria”** e anche la Calabria parla di lui specie quella culla arrotondata a picco sul Mar Tirreno dove si incrociano le rotte delle barche come pensieri affidati ad un tramonto che non sarà mai dimenticato. E’ la suggestiva ‘guardiola’ di villa Pietrosa, la tenuta in cui ha vissuto con la sua amata consorte, Albertina Antonelli. Una dimora immersa tra gli ulivi, a valle di un’antichissima grotta dove ha chiesto di essere seppellito unitamente alla sua amata e che donò alla sua Città. Villa Pietrosa avrebbe continuato ad esistere, come lui stesso scrisse nei ‘Poemetti civili’, anche quando lui fosse stato memoria.

**Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15000 km. quadrati di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese di due milioni di abitanti al massimo. (…). Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi (…) Volle il mare sempre viola, la rosa sbocciante a dicembre, il cielo terso, le campagne fertili, le messi pingui, l’acqua abbondante, il clima mite, il profumo delle erbe inebriante. Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione (…) E, a questo punto, il diavolo si ritenne soddisfatto del suo lavoro, toccò a lui prender sonno mentre si svegliava il Signore. Quando, aperti gli occhi, poté abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente rasserenandosi, disse: - Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più sudore, ecco tutto.