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di Natale Pace

Non mi sono inserito nella polemica scatenata da uno pseudo-giornalista-intellettualoide che a ciclo mestruale ben prestabilito, dovendo dimostrare a se stesso che esiste e alla buonanima di sua madre quanto è conosciuto nel mondo, spara bordate a sangue offensive del meridione e dei meridionali. Mi sembrava, come dicono i nostri anziani di “dargli troppa importanza”.

D’altra parte egli è solo l’ultimo personaggio importante e conosciuto ( per adesso) ad esternare pensieri xenofobi e razziali nei confronti della gente del Sud.

Il marchese Massimo D’Azeglio, sì, proprio quello de “Pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani”, liberal-moderato Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, scrive a Diomede Pantaloni nel 1860:

“In tutti i modi la fusione con i napoletani mi fa paura e come mettersi a letto con un vaioloso”.

Che fa il paio con le future fesserie montanelliane, o con Moravia che sull’Espresso del 3 ottobre 1982, in un articolo intitolato “Siciliano uguale Mafioso” scrive: “Il Siciliano in quanto tale, anche il galantuomo, è tendenzialmente mafioso”.

Oramai ci siamo così abituati a tali balorde uscite che non ci facciamo più caso (male!) e peggio poi scopri che i mafiosi di Agrigento nel 1986 hanno assegnato a Moravia il Premio Pirandello per la narrativa e vabbè, ma poi vai a sapere che gli latri mafiosoni di Caltanissetta nel 1990 assegnava a Montanelli il Premio Internazionale Castello di Pietrarossa per il giornalismo, e vabbè, vabbè, ma poi scopri e scopri che a quel costante malparlatore dei siciliani e dei meridionali i grandi mafiosi palermitani hanno addirittura intitolato una strada.

E volete che mi faccia perdere il sonno l’ennesima boutade dello pseudo-giornalista-intellettualoide?

Ma poi, mi capita tra le mani una bella recensione, vergata da Tonino Ceravolo, su un volume opera di Vito Teti dal titolo: “La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale”, Manifestolibri, Roma 1993, pp.285. E ci ripenso.

Vito Teti è professore ordinario di Antropologia culturale all'Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro di iniziative e ricerche Antropologie e Letterature del Mediterraneo. E’ dunque un celebre antropologo e oggi, uno degli studiosi e intellettuali più intelligente che abbiamo in Calabria. Pensate, ventisette anni fa ha scritto e pubblicato un libro che sembra invece pubblicato oggi apposta per rispondere per le rime al nostro intellettualoide da quattro soldi e per dirci che in fin dei conti non è il primo e non è l’ultimo nella storia a perorare la causa dei meridionali razza inferiore.

Teti, nel suo lavoro, confuta soprattutto le tesi di due eminenti studiosi suoi colleghi antropologi: il siciliano Alfredo Niceforo, scomparso nel 1960, che fu presidente della Società Italiana di Antropologia e della Società Italiana di Criminologia e Giuseppe Sergi, docente di antropologia all’università bolognese fino al 1936, anno della sua morte.

Entrambi sostenitori della storica contrapposizione di due italie, diverse per razza e psicologia, ciascuna dotata di propri caratteri immobili, sottratti al lento lavorio dei processi storici. In tal maniera è facile nascondere dietro la pretesa scientifica il pregiudizio antropologico che schematizza gli uomini meridionali come disattenti, di volontà debole, banali nelle loro emozioni, impulsivi, sognatori.

Vito Teti sottolinea come l’errore di Sergi e Niceforo sia “non tanto nella individuazione, con i criteri, le acquisizioni, i termini “scientifici” del tempo, delle due razze presenti in Italia, quanto nella relazione di tipo “deterministico”, che essi stabilivano tra la” razza” (…) e la psicologia, la vita morale, le condizioni di vita delle popolazioni. L’inferiorità sociale e morale del Mezzogiorno non veniva ricondotta dalla scuola antropologica a cause ambientali, storiche e sociali (…) ma alla degenerazione e al decadimento di una razza che in passato aveva espresso un’alta civiltà. La disuguaglianza tra Nord e Sud – conclude Vito Teti – veniva spiegata confinando nella metastorica e immutabile categoria della razza una diversità di caratteri fisici e biologici, che risaliva a un intricato intreccio di fenomeni geografici, storici, biologici, culturali”.

Insomma, come giustamente asseriva Gaetano Salvemini, che richiamava il ruolo importante che ha la storia nelle vicende umane, a fare dei meridionali una “razza maledetta” determinando un diverso grado di sviluppo, non erano stati certamente il loro carattere o qualche invisibile tara ereditaria.

Lo stesso Antonio Gramsci nei Quaderni riconosceva che “La miseria del Mezzogiorno era storicamente inspiegabile per le masse popolari del Nord. Queste non capivano – afferma Gramsci – che l’unità non era stata creata su una base di eguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Sud nel rapporto territoriale città-campagna, cioè che il Nord era una piovra che si arricchiva a spese del Sud e che l’incremento industriale era dipendente dall’impoverimento dell’agricoltura meridionale”.

In parole povere, anche secondo il fondatore del partito comunista alla base delle disuguaglianze vi fu un rapporto coloniale che vide la gente e i territori meridionali occupati, impoveriti e defraudati anche delle proprie identità.

Un libro questo di Vito Teti che, seppure stilato trent’anni fa, ripropone sempre attuali ragionamenti e spiegazioni utili a mettere un punto fermo tra le diverse “fazioni” che in maniera diversa spiegano differenze economiche e sociali tra meridione e settentrione.

La “razza” è “maledetta” perché le vicende della storia, le dominazioni, le scelte politiche dall’Unità d’Italia in poi l’hanno maledetta, non perché c’è troppo sole, o il sangue sia storicamente infetto.

D’altronde la presenza di meridionali nei posti chiave della scienza, medicina, economia e cultura di tutto il mondo, ci dice che l’uomo e la donna del Sud, messi in condizione ottimale per dare libero sfogo ai loro tassi s’intelletto riescono meglio degli altri, ma non perché il loro tasso intellettivo sia superiore, bensì perché hanno dalla loro un elemento di sprone che gli altri non hanno: la fame, la voglia di dimostrare, la necessità.

Questo libro di Vito Teti proverò a cercarlo e acquistarlo e ve ne proporrò qualche altra pagina.

Forse, sarebbe il caso di farlo avere anche al grande pseudo giornalista intellettualoide, ma non sono certo che saprebbe leggerlo.