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Giuseppe Bova

di Natale Pace

Il grande poeta irlandese Seamus Heaney, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1995, massimo rappresentante contemporaneo del rinascimento poetico irlandese, ha scritto a Peppe Bova:

“I like the sense of plentiful in your poems, the combination of natural imagery and trascendent impuls”

(Apprezzo il senso di notevole ispirazione delle tue poesie, la combinazione d’immaginario naturale e impulso trascendente) 

Non vedevo Peppe Bova praticamente da una vita.

Ci siamo rivisti, dopo una vita nella quale lui è stato poeta prestato alla professione di responsabile dell’Ufficio della Motorizzazione Civile reggina e alla politica come candidato al Parlamento Europeo nel 2009, consigliere regionale e due volte assessore al Comune di Reggio Calabria dal 1980 al 1989; poi tutto dedito alla Cultura e al Sociale come Presidente della Società Dante Alighieri di Reggio, Premio alla Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1974. In quel primo periodo della nostra vita, io poeta (dicono!!) prestato per decenni all’impegno sindacale e per cinque a quello di assessore comunale a Palmi.

Due poeti in tutt’altre faccende affaccendati!

Ci siamo ritrovati oggi: lui, sempre più impegnato Presidente del Circolo Culturale Rhegium Julii, io, lasciata la Cisl che mi ha preso per oltre trent’anni, spaesato pensionato, entrambi innamorati della Poesia, vogliosi di fare cultura e contribuire con essa alla crescita dei nostri territori, delle nostre genti.

L’invidiabile percorso culturale di Peppe Bova è costellato di iniziative straordinarie, di successi e consensi in tutti gli ambiti in cui si è trovato ad operare. Ma Bova è un valente poeta. Per i contenuti letterari, la linearità delle poetiche, l’afflato di empirismo correlato alle certezze della vita, egli si pone nel firmamento poetico calabrese e nazionale (e a mio parere sono entrambi confini che stanno ancora stretti alla sua poesia!), rimanendo fuori da ogni scuola di pensiero, come una tra le più apprezzate voci della poesia calabrese. Sono versi quelli di Bova che ti prendono di petto, ti sfidano alla riflessione sui motivi esistenziali, ma con semplicità e scorrevolezza, con cuore di uomo, amante, appassionato osservatore del mondo.

A nessun poeta calabrese, a nessun poeta moderno che io conosca si può riferire come a Pino Bova quel pensiero splendido sulla poesia di Iosif Brodskij (1940-1996), premio Nobel per la letteratura nel 1987 che alla domanda di un giornalista su che cosa può fare la poesia per difendere le persone dal senso di caos e dalla brutalità dei tempi, rispose:

“… La parola è una reazione al mondo, un po’ come fare le smorfie nel buio o le boccacce alle spalle del bastardo di turno, oppure è un modo per controllare la paura. E’ protettiva, ti protegge? No, molto probabilmente no, in realtà ti mette a nudo!”

E’ da un po’ di tempo che mi rammarico con lui perché il gravoso impegno di responsabile dello storico Rhegium Julii lo prende al punto da mettere in secondo piano il suo essere poeta, come se a quell’attività, per la quale Reggio, la Calabria e l’Italia tutta gli devono rendere merito, egli ritenga giusto sacrificare quel bisogno di confrontarsi con le private paura. Per il Rhegium Pino da anni non fa sentire la sua voce di poeta; premia tanti grandi intellettuali ogni anno, ma si vieta di fare le boccacce al buio, ai pensieri, ai bisogni interiori che ogni poeta ha di esprimere nei versi le sue boccacce alla vita. Io penso che il mio amico poeta Pino Bova non ha il diritto di lasciarci senza la sua poesia e prima o poi dovrà decidersi a riprendere il cammino poetico interrotto, sacrificato, peccaminosamente sacrificato.

Il percorso poetico di Peppe Bova, fino a oggi, si snoda attraverso sette raccolte nelle quali egli dipana un discorso in crescendo di pathos e tecnica poetica sempre sottolineati da ampi consensi di critici accreditati e di lettori affezionati.  “Diamoci la mano” nel 1968, “Uomini sempre” nel 1977, “Dimensione Uomo” nel 1984, “L’albero del Pane” nel 1991, con interventi critici di Gilda Trisolini, Antonio Piromalli, Roberto Pazzi, Giuseppe Selvaggi, Saverio Strati, Dante Troisi,“Così tenero, così fuggitivo” nel 1999, prefazione di Giuseppe Amoroso, “Millennium’s Coat” nel 2003 presentato da Corrado Calabrò e l’ultimo “La parola esclusa” nel 2003 con prefazione di Antonio Piromalli. E sono trascorsi dunque diciassette anni, nei quali egli certamente ha scritto altri versi, relegandoli nel buio illeggibile dei suoi cassetti.

Ho cominciato a leggere i versi di Peppe Bova molti anni addietro, letture che hanno accompagnato, come spesso accade coi libri, momenti complicati della vita, distacchi e ricongiungimenti del cuore, nascite e morti e per questo mi sono vicini al cuore, essendo diventati colonne sonore del mio tempo, refrain che accompagnano le memorie. Per dirla come la dice meglio di me Giuseppe Selvaggi “… entrando, restando, uscendo, dimenticando, tornando a ricordare le poesie di Bova”. Non fosse per altro, di questo dovrei essere grato al mio amico Pino Bova, com’anche per la dedica ne “La parola esclusa”: A Natale, per le comuni affinità elettive.

Ma ai poeti bisogna essere grati per il coraggio di essere poeti, per la capacità di fare a pezzi il proprio cuore e squarciarti l’anima per provocare l’incredibile incontro tra la tua anima e il suo cuore. Il cuore di Peppe Bova, triturato in milioni di scintille, lo ritrovi in ogni verso delle sue liriche. Ma ti ci devi avvicinare, come scrisse il grande poeta ungherese Attila Jozsef “con cuore puro”.

Con cuore puro, amico Bova, attendo fiducioso i tuoi versi!

PICCOLA ANTOLOGIA POETICA

È un gravido ritorno
È un gravido ritorno,
una parola non detta,
ma se alterno le voci della sera
col rodere del gufo o di cicala,
quell’antico chiamare di lontano
a questa porta chiusa chiede albergo
ed una luce s’accende
ed una nota esala.

La tempesta ch’è in noi
trova pace nel tempo e nella gloria,
perciò si scrive, che non  sia la storia
a finire con noi,
né la memoria.

(da L’Albero del Pane)

A cagione di te
io più non vivo
che la camicia stirata
e la cravatta
come il manichino
di un fondo magazzini. 

Adieu mon amie.
Conversazione preclusa
per malformazione fisica
del cuore.

Abito più lontano ora:
rue de Montmartre
dans la maison rouge
de l’oiseau muet.
Così non fa rumore l’orologio
e l’acqua non si perde
nei giardini.

(da Così tenero così fuggitivo)

Sono al Sud
Perché la vita è dura
e tu pensi di essere il padrone
            che alza la voce
mette le mani in tasca
e si compra le vite.

Sono al Sud
perché il vento si alza anche da solo
e non basta ignorare le ragioni
serrare il corso della memoria
per escludere i sogni di riscatto
la competizione libera
            la lotta.

Sono al Sud
perché ho la mia storia di eroi
e il mare di un dio
perché mi dai perduto
ed Itaca ritorna col suo re. 

(da Millennium’s Coat)

A tenera ora mi spinge
la valle dei roghi
dove giace una storia sospesa
                        e già tesa
la corda d’aedo s’accende.

Questa è la poesia.
Un fiume di parole
per seminare i sogni.
Di là le margherite
di qua il grano
                        le maree
e i venti che scuotono i destini.

Di stanza in stanza
vanno i miei tumulti.
Celeste rappresaglia del mio fiato.
Io sono il guado che nulla
                        più attraversa.
La sponda delle notti senza luna.
La morte anticipata del Creato.

(da La parola esclusa)