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di Natale Pace

Io e Nanù scartabellavamo ogni pomeriggio tra le carte del marito Domenico Zappone, quei pomeriggi che precedettero il 13 aprile del 1980. L’allora assessore alla cultura del Comune di Palmi, il povero Raffaele Fotia, aveva accolto con entusiasmo la mia proposta di organizzare un evento per ricordare il grande scrittore e giornalista nella sala consiliare dove alla presenza di personalità e artisti provenienti da ogni parte, tra cui Albertina e Leonida Repaci, Antonio Altomonte, Gilda Trisolini e Giuseppe Selvaggi ricordarono degnamente l’autore de “Le cinque fiale”, il corrispondente di tante testate regionali e nazionali, il dissacrante Mimì Zappone. Rosina Isola Zappone (Nanù per lui perché, diceva, Rosina è nome di cameriera, non si addice!!!) seguì da vicino i preparativi di quella bella giornata, consigliandomi, mettendo a mia disposizione materiale e documenti preziosi, lieta che la Città volesse ricordare il suo famoso marito, morto suicida poco più di tre anni prima. Capitandoci tra le mani un libricino, lo rigirava pensosa:

“Mimmo diceva che il suo amico Franco Alfano più che un bravo pittore, fosse un bravissimo poeta e giornalista. Quando nel 1970 stampò con Rebellato questo volume “Dovrò lasciarti la mano” gliene mandò copia con dedica: “A Domenico Zappone, i pensieri in poesia dell’ultimo sibarita. Con stima e affetto. Franco Alfano. Castrovillari 29/8/1970”

Il riferimento a l’ultimo sibarita non era casuale; Alfano certamente ricordava una visita di Zappone in quei luoghi per un bellissimo pezzo pubblicato su Il Giornale d’Italia il 17 gennaio 1961 col titolo “A cena con gli ultimi sibariti”

“Aspetta, ti faccio vedere una cosa!” Nanù si allontanò qualche minuto per ritornare con tre minuti disegni con delle figure appena appena abbozzate e colori bellissimi, evocativi di una civiltà antica e contadina.

“Glieli ha mandati in regalo con questo biglietto:

FRANCO ALFANO

SCRITTORE
00152 Roma – c/o Mons. Prof. Alfano – Via G. Barrili, 24 tel, 5809038
87012 Castrovillari – Via Cascile, 57 – tel. 21986

     Caro Zappone,

faccio seguito alla mia telefonata da Reggio. Ti allego alcune cosette: in parte puoi dedurre il mio temperamento di pittore. Ho la coscienza di essere un altro cretino, però a 50 anni ho voluto fare il pittore per “protesta”. Sono stufo di vedere  e sentire scienziati – pittori per capire i quali bisogna procurarsi il manuale della critica che spiega e che “illustra”.

Come è possibile tanta idiozia nel mondo della cultura?

La vita probabilmente è uno scherzo?

Scherzo anch’io.

Ma credo nella poesia, nella fantasia, nella creazione, nell’auto illustrazione che può dare la pittura!

Bisogna credere a qualche cosa, a molte cose.

Ti abbraccio.

Franco Alfano

“E voglio che li tieni tu! Voglio che li metti in cornice e li tieni in mio ricordo.”

Così feci. I quadretti di Alfano, da allora sono parte importante della mia raccolta di pittori calabresi.

Questa sera di solitudine pandemica, girellando tra i libri, mi è capitata tra le mani la bella raccolta di Franco Alfano.

“Dovrò lasciarti la mano” è la seconda pubblicazione poetica dell’artista saracenaro nato alle pendici del Pollino, nell’alto cosentino nel 1922 e morto a Castrovillari nel 1977, appena cinquacinquenne. Già nel 1947 aveva stampato a Roma la raccolta giovanile “Incontro” abbellita sul frontespizio da un disegno di Emilio Greco.

A quel tempo Alfano poteva ascrivere a suo merito un breve periodo di collaborazione a “Il Popolo”, fianco a fianco con un altro grande calabrese, Corrado Alvaro. Esperienza finita troppo presto perché con la fine del fascismo, l’8 settembre, Il Popolo chiuse i battenti.

In quei primi, giovanili versi c’era la ingenuità della sua vita di paese e la maturità dell’esperienza romana; le due facce dello stesso artista non si contraddicevano, anzi si integravano e ne veniva fuori poesia, poesia vera.

Poi l’attività giornalistica ebbe il sopravvento sul poeta, col Paese diroccato e la lenta difficoltosa ricostruzione post bellica. Tra quelle macerie il giornalismo di Alfano si aggira mettendo a nudo la sofferenza e l’eroismo di una nazione che che voleva rinascere dalle brutture della guerra, dalle morti e ci provava. Trascorsero ventitrè anni da quella raccolta prima che Franco Alfano decidesse di raccogliere i suoi versi sparsi qua e là nei dintorni della sua vita, forse convinto dal critico aretino Vittorio Vettori, che volle scrivere la prefazione. Il volume è diviso in tre piccole raccolte di versi: la prima “Dovrò lasciarti la mano” tutta intessuta di versi amorosi spesso idilliaci, a volte nudi e crudi senza mai scadere in ascendenze erotiche; la seconda “Protesta” con versi attuali (Barnard, Armstrong, ecc.) e prese di posizione controcorrente, per esempio contro le sessantottine contestazioni giovanli che nella poesia “La Protesta” arriva a definire ”protesta di lusso” e l’ultima “Elegia contenente sei composizioni tra cui una dedicata a Papa Giovanni e una al padre.

Dalla prefazione di Vittorio Vettori: “Lo scrittore calabrese è di quelli che non hanno bisogno di chiedere a un tesserino del Sindacato Nazionale Scrittori il proprio diritto di cittadinanza nella cittadella dei poeti. La sua poesia, prima che di pagine scritte, è fatta di emozioni intensamente vissute (e poi trascese e risolte nell’avventura ritmico-immaginativa della parola interiore), di esperienze profondamente sofferte, di risolutivi confronti dell’anima col suo destino. Siamo insomma dinanzi a un poeta vero.”

 

DOVRO’ LASCIARTI LA MANO

Anch’io
questa sera
sono stanco di speranze.

Dovrò lasciarti la mano
ora che anche tu l’hai stretta
e liberarti.

Ho portato la tua giovinezza
verso alti ostacoli.
Non importa la mia sofferenza:
fresco e leggiadro è il tuo avvenire.

Forse dovrai perdonarmi
questo amore a scena chiusa
d’un dramma che non puoi portare.

Resta indietro,
con gli altri
nel tenue sfondo del gioco di tutti.

Io andrò avanti senza luce.

Tu, mio giovane amore,
non puoi camminare
con la mia disperazione.

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FRANCO ALFANO – Saracena 1922, Castrovillari 1977) inizia la sua esperienza di giornalista nel 1943 al fianco di Corrado Alvaro a “Il Popolo di Roma” soppresso l’8 settembre. Collabora a vari giornali romani e pubblica nel ’47 la su prima raccolta di racconti (F: Alfano, Incontro, Chicca Roma 1947). Negli anni successivi vive tra Roma e Castrovillari, per rientrare poi definitivamente in Calabria. E’ autore anche della raccolta poetica “Dovrò lasciarti la mano” – Rebellato, Padova, 1970 e di un volume dal taglio giornalistico (Calabria Inchiesta, Gesualdi, Roma, 1972. E’ stato anche corrispondente di Gazzetta del Sud.