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di Natale Pace

Il periodo che va dal 7 marzo 1933 al 24 aprile 1937, quello che io chiamo il “Quadriennio del dolore” di Antonio Gramsci, se anche non fertile per quanto riguarda la produzione di scritti politici e di critica sociale (a mio modesto parere, egli ha lavorato molto poco. Mentre, per esempio, nel periodo precedente egli aveva scritto 21 dei 33 Quaderni, gli ultimi 12 sono redatti tutti durante il ricovero alla clinica Cusumano di Formia, è estremamente importante, addirittura basilare per capire compiutamente il percorso biografico del sardo e come quegli avvenimenti dolorosi, lo stato di salute sempre più precario, le atroci sofferenze fisiche accompagnate dal decadimento psicologico, come ogni volta succede negli ammalati gravi, abbiano contribuito alla sua mitizzazione personale e politica.

         E proprio in questi quattro anni si svilupperà compiutamente il sostegno prima fisico, poi morale, poi di stimolo psicologico, operato a suo favore da Tatiana Schucht, sorella della (forse) moglie Giulia che gli stette vicino, annullando sé stessa, i propri precedenti interessi di vita, la sua stessa salute, se è vero che gli sopravvisse solo per pochi anni. Tania non si mosse dal suo fianco per tutti gli undici anni di detenzione, Tania raccolse il suo ultimo respiro alle 4 e 10 del 27 aprile 1937, a Tania furono indirizzate oltre i tre quarti delle lettere dal carcere, Tania provvedeva al suo necessario e a volte al di più, Tania provvide alla cremazione e sepoltura e solo grazie a Tania vennero salvati e a noi tramandati i preziosi scritti in carcere.

A gennaio del 1933, gracile di salute e di anni, ma tenace nel voler rimanere il più vicino possibile ad Antonio, Tania si trasferisce a Turi. Io credo che il “sacrificio” di Tatiana per oltre dieci anni accanto a Gramsci e alle sue vicende, vada ben oltre la solidarietà e l’affetto parentale. Tania si sostituì letteralmente alla (forse) moglie Giulia che non si recò mai in Italia durante la detenzione e dopo la carcerazione non vide più vivo Gramsci.  C’era qualcosa di ben più che l’affetto familiare in Tania verso il prigioniero dei fascisti, anche se mai ella si permise il minimo cedimento rispetto alla immagine della cognata che sostituisce la sorella “impedita” da malattie e forse da disposizioni di partito di stare accanto a Gramsci, neppure quelle volte che lo stesso Antonio la sollecitò velatamente a uscire allo scoperto.

Sostennero in qualche maniera la eroica ragazza sovietica in tale impegno, che non fu certamente solo infermieristico, ma anche di sprone a scrivere, a “pensare” a trasmettere fuori le proprie idee, il fratello di Gramsci Carlo e l’amico conosciuto ai tempi dell’Ordine Nuovo Piero Sraffa, che un poco per vera fede amicale, un poco, forse, per incarico dei maggiorenti del partito (se non del Comintern) non fu certo economo nei sostegni finanziari per abbonamenti a riviste e librerie e per vettovagliamenti.

Gli ultimi quattro anni di vita carceraria di Gramsci, che vanno dalla primavera del 1933 al 24 aprile 1937 (giorno del decesso tristemente coincidente con la data del decreto di definitiva scarcerazione, pure nel tragico alternarsi di crisi dello stato fisico e psichico ci riportano alcuni elementi che vale la pena sottolineare.

Come per esempio la dedizione senza limiti della cognata Tatiana Schucht, l’assistenza che va ben oltre l’attenzione infermieristica e ancor più considerando il grado di parentela non proprio strettissimo. Accompagnano queste tristi giornate dello statista le presenze del fratello Carlo e dell’amico di sempre Piero Sraffa, la cui vicinanza e attenzioni erano probabilmente dettate e sollecitate dagli elementi del partito comunista; elementi e partito che si sono guardati bene in tutti quegli anni dal farsi vedere e sentire dalle parti delle carceri dove Gramsci era detenuto: primo tra tutti Palmiro Togliatti con il quale Gramsci, dopo la frattura creatasi a seguito della lettera critica di Gramsci nel 1926 nei confronti della politica di Stalin, non ebbe alcun contatto fino alla morte. Così anche con la moglie Giulia Schucht.

Dalla sera dell’8 novembre 1926, data del suo arresto a Roma, in spregio alla immunità di cui avrebbe dovuto godere come deputato, varie e tutte naturalmente dolorose furono le vicissitudini carcerarie in giro per l’Italia di Antonio Gramsci, concluse con la definitiva segregazione nel penitenziario speciale per detenuti malati di Turi in provincia di Bari.

Qui, le sue condizioni di salute già gravi al momento dell’arresto, peggiorarono di giorno in giorno e tante furono le iniziative e l’impegno, soprattutto da parte della cognata Tania Schucht e, in parte, del fratello Carlo e di Piero Sraffa, per tentare di alleviare le condizioni della sua detenzione e di garantirgli adeguate cure tese a lenire le sofferenze se non psichiche, almeno del fisico.

Queste iniziative ebbero il loro culmine tra la primavera del 1933 e il 7 dicembre dello stesso anno anche a seguito dell’acuirsi delle crisi gravissime da lui descritte nelle lettere a Tania.

Degli accadimenti di questi mesi che portarono al trasferimento a Formia nella clinica Cusumano, si hanno documentazioni e notizie particolareggiate, eppure da settembre 1933 (tre mesi prima dell’arrivo a Formia), fino a tutto il soggiorno per circa un anno e mezzo sembra interrompersi la lena epistolare di Gramsci e a parte un biglietto inviato al figlio Delio, non si hanno lettere.

 Il “Quadriennio del dolore” inizia con l’acuirsi delle crisi in carcere, a Turi, in particolare, scatenanti quelle intorno al 7 marzo 1933.

Scrive Gramsci a Tania Schucht il 14 marzo:

“[…] Proprio martedì scorso, di primo mattino, mentre mi levavo dal letto, caddi a terra senza più riuscire a levarmi con mezzi miei. Sono sempre stato a letto tutti questi giorni, con molta debolezza. Il primo giorno sono stato con un certo stato di allucinazione, se così si può dire, e non riuscivo a connettere idee con idee e idee con parole appropriate. Sono ancora debole, ma meno di quel giorno. Ti prego di venire al colloquio appena ti sarà concesso dopo questa mia lettera. Ti abbraccio teneramente. Antonio”

Il 18 marzo Tania telegrafa a Sraffa affranta per le gravissime condizioni di salute di Antonio. Credo che Sraffa metta in movimento le sue conoscenze, lo zio primo presidente della Cassazione, e il 20 marzo arriva a Turi il prof. Umberto Arcangeli direttore della prima clinica medica dell’Università di Roma, indicato da Carlo Gramsci.

scrive ancora a Tania il 21 marzo 1933

“[…]

Ho sofferto di esaurimenti nervosi almeno quattro volte prima dell’attuale. La prima volta nel 1911-12, la seconda nel 1916-17, la terza nel 1922-23, la quarta nel ’27. Non avevo però mai avuto deliqui o altre forme patologiche come quelle attuali. Attualmente queste manifestazioni sono completamente scomparse (esse furono forti nei primi cinque giorni, poi andarono attenuandosi un po’ per giorno, finché dopo una decina di giorni erano sparite). Mi rimane ancora la debolezza che si manifesta in questo modo: la temperatura cade e risale da 35,8 a 36,9 e 37 senza ragioni apparenti per me.

Di notte ho due accessi di freddo (io li chiamo di febbre alla rovescia), uno verso le nove, l’altro verso le quattro del mattino; la temperatura cade, come ti ho detto (una volta anche a 35,6 e il corpo è percorso da guizzi, da tic improvvisi in parti del corpo le più varie ma specialmente nelle gambe e sulle braccia, da stiramenti, da raggricciamenti; mi pare di essere “elettrizzato” per così dire e ogni movimento brusco o inaspettato provoca un susseguirsi rapido di guizzi e di tuffi al sangue (il “cuore va in gola” come si dice). Le gambe però riacquistano rapidamente una certa stabilità. Già cammino da solo, senza bisogno di appoggiarmi a un braccio altrui, almeno nella mia stanza.

Come ti ho scritto, ho avuto nei primi giorni alcune manifestazioni patologiche curiose che in parte ricordo e in parte mi furono descritte da chi era presente. Per esempio, parlai una lingua che non era compresa e che certo è il dialetto sardo, perché ancora fino a qualche giorno fa mi accorsi che inconsciamente mescolavo all’italiano parole e frasi in sardo. Le finestre e le pareti della stanza apparivano agli occhi come popolati di figure, specialmente di facce, senza però nulla di spaventevole, anzi nelle pose più diverse, sorridenti, ecc. Invece sembrava di tanto in tanto che si formassero nell’aria delle masse compatte ma fluide che si accumulavano e poi si precipitavano su di me, facendomi arretrare con un tonfo nervoso nel letto. Così la retina manteneva le immagini passate a lungo ed esse si sovrapponevano alle più recenti, ecc. Anche all’udito ebbi delle allucinazioni. Se chiudevo gli occhi per riposare, sentivo delle voci chiare che domandavano: “Chi sei? Dormi?” ecc. o altre parole staccate.

Nel passato la manifestazione più grave fu quella della temperatura bassa, della debolezza, cioè le più comuni e generali delle anemie cerebrali. […]

Tania Schucht, Carlo Gramsci e, per i contatti esterni Piero Sraffa, operano tentativi su più fronti: l’accesso a provvedimenti di amnistia, la possibilità di sottoporre Gramsci a visita specialistica ispettiva per certificare le gravi condizioni di salute e la necessità di trasferire il carcerato in una clinica privata, pure in regime di libertà vigilata affinché gli vengano prestate cure adeguate al grave stato di salute e deperimento.

Il prof. Umberto Arcangeli, autorizzato dal Ministero visita Gramsci il 18 aprile 1933. Egli, considerata la pregiudicata situazione fisica, prova a convincere Gramsci ad avanzare domanda di grazia a Mussolini. Ma per lo statista sardo non si lascia convincere e allora l’ispettore sanitario rilascia il seguente certificato:

“Io sottoscritto attesto che Antonio Gramsci, detenuto a Turi, è sofferente del male di Pott; egli ha delle lesioni tubercolari al lobo del polmone superiore destro, che hanno provocato due emottisi, delle quali una in quantità notevole seguita da forte febbre durata parecchi giorni; egli è attaccato da arterio-sclerosi con ipertensione delle arterie. Egli ha avuto svenimenti con perdita della conoscenza e parafasia che hanno durato parecchi giorni. Dal mese di ottobre 1932 egli è diminuito di sette chili; egli soffre d’insonnia e non è più in grado di scrivere come nel passato. Gramsci non potrà lungamente sopravvivere nelle condizioni attuali; io considero come necessario il suo trasferimento in un ospedale civile o in una clinica a meno che non sia possibile accordargli la libertà condizionale. In fede di ciò: Umberto Arcangeli”

Tania mette a conoscenza della relazione Arcangeli Piero Sraffa che informa il partito:

“… Gramsci non potrà lungamente sopravvivere nelle condizioni attuali, io considero come necessario il suo trasferimento in un ospedale civile o in una clinica, a meno che non sia possibile accordargli la libertà condizionale…”

La certificazione è pubblicata sul numero di giugno del “Soccorso rosso” (serie II, anno III, n.4, col titolo: “Salviamo Antonio Gramsci” e contribuì a rafforzare il movimento del Comitato di difesa dei detenuti politici, costituitosi a maggio a Parigi, per l’applicazione a Gramsci dell’art. 176 del codice penale, relativo alla libertà condizionale.

  A proposito dei danni causati dalla pubblicazione del certificato Arcangeli e dei responsabili di tale atto, scrive Palmiro Togliatti a Piero Sraffa (che con un biglietto del 19.5.1933 lamentava il poco impegno del partito per la liberazione di Gramsci) il 24 maggio 1933 firmandosi “Ercoli”:

“[…]

Pensa che il giornale quotidiano comunista di Parigi ha persino pubblicato una dichiarazione firmata dal prof. Arcangeli di Roma sulle condizioni di salute di Antonio. Il giorno dopo il giornale ha precisato che questa dichiarazione gli è stata trasmessa dalla moglie di Antonio. Qui hanno avuto luogo in tutto il paese decine e decine di comizi, con una vasta partecipazione di massa […] La mia opinione è che la pubblicazione della dichiarazione è stata uno sbaglio grossolano perché potrà avere come conseguenza la rottura dei collegamenti tra Antonio e la moglie e altre persecuzioni…

Una iniziativa di Giulia Schucht (consigliata da chi?) sconsiderata che vanifica tutti i tentativi fatti fino ad allora. Eppure Gramsci aveva pregato Tania di non coinvolgere la moglie Giulia (lettera da Turi del 29 maggio 1933:

“[…] ti avevo tanto espressamente e con tutto il cuore pregato di non immischiare Giulia nei tentativi da fare per cercare di alleviare la mia situazione, di non comunicarglieli neppure … La bontà disarmata, incauta, inesperta e senza accorgimento non è neppure bontà, è ingenuità stolta e provoca solo disastri…

Anche l’eventuale amnistia era in predicato: scrive Angelo il padre di Sraffa al figlio il 29 maggio 1933:

“[…]

Se non che … patatrac … all’ultima ora la notizia che l’Humanitè ha pubblicato la relazione di Arcangeli, con furore del capo della polizia e di tutti quanti, prendendo di mira Novelli (direttore generale degli istituti di detenzione e pena – n.d.a.) … vogliono sapere come è potuta andare fuori d’Italia la relazione Arcangeli … intanto stanno con gli occhi addosso ad Arcangeli, che avrebbe esagerato a favore dell’imputato … Ma intanto quel poveretto di G. non vedrà più disposto col favore che si sperava fino a venerdì … ora tutto pare sfumato”.

Anche il Governo, nell’estate del 1933, ci riprovò a convincere Gramsci alla domanda di grazia a Mussolini, che lui però considerava un “suicidio morale”

Alla fine, l’unico risultato positivo teso ad alleviare le sofferenze del carcerato è un semplice cambio di cella nel mese di luglio 1933 che, per le condizioni di umidità e per l’assillante sorveglianza diurna e notturna peggiorano ancor più la situazione.

Il 6 luglio 1933 scriverà a Tania:

“[…]

Devi fare una pratica d’urgenza perché io sia trasferito nel più breve tempo possibile dal carcere di Turi nell’infermeria di un altro carcere dove ci siano specialisti che possano sottopormi a un esame sufficiente per stabilire da quali complessi di mali io sia affetto e possano farmi la radiografia del polmone che risolva i dubbi sia del prof. Arcangeli sia dell’ispettore carcerario Saporiti. Ti prego di credere che non posso resistere. Il dolore al cervelletto e alla scatola cranica mi fanno uscire da me stesso. Così è aggravata e si aggrava progressivamente la difficoltà nell’uso delle mani, ciò che non può essere semplicemente dovuto all’arteriosclerosi.

E’ venuto oggi a  visitarmi un ispettore dell’amministrazione carceraria, il quale mi ha dato la più ampia assicurazione che d’ora innanzi sarò curato … se non fosse venuto l’ispettore avrei fatto la domandina per inviare io stesso un’istanza al Capo del Governo, poiché tu hai lasciato passare ben quattro mesi senza deciderti a fare ciò che io subito ti avevo detto di fare… spero che una cosa tanto semplice, come quella di essere inviato in un’infermeria carceraria organizzata modernamente non sia difficile da ottenere. È una cosa che succede spesso. Non posso darti indicazioni, perché ignoro: ho sentito parlare delle infermerie di Roma e di Civitavecchia, ma mi interessa poco il luogo. Mi interessa di essere tolto da questo inferno in cui muoio lentamente… “

A ottobre Carlo Gramsci viene informato dalla Questura di Milano che la direzione della polizia ha accettato di trasferire il fratello nella clinica del dr. Cusumano, a Formia, a condizione che la famiglia faccia a sue spese opere di sicurezza nella camera a lui destinata (inferriate, serrature e altro) e si faccia carico della retta di 120 lire facendo sapere come avrebbero provveduto. Carlo informò che avrebbero venduto una piccola abitazione a Ghilarza.

Il 18.11.1933 arriva la disposizione. Il detenuto che condivideva la cella con Gramsci e in qualche modo lo assisteva, Gustavo Trombetti, racconta:

“ci recammo nel medesimo (il magazzino nda) e lì preparammo i suoi bagagli. Mentre, d’accordo con me, egli teneva in chiacchiere la guardia, io infilavo i diciotto quaderni manoscritti nel baule in mezzo ad altra roba … Ritornati in cella, Gramsci non volle dormire per il rimanente della notte, aggiungendo che tanto dopo non ci saremmo più riveduti e così mi incaricò di dire fuori del come aveva vissuto in carcere, del trattamento che gli era stato fatto … Verso le sei del mattino successivo, quando era ancora buio pesto, venne la scorta armata … Antonio scucì dal cappotto di carcerato la matricola che aveva portato per cinque anni e me la lasciò come suo ricordo … Lo fecero montare su di una carrozza (una giardiniera) e la carrozza partì inghiottita in breve dall’oscurità … piansi come da tempo non avevo fatto”.

 

Ma neanche  il trasferimento alla clinica Cusumano avviene in maniera lineare e senza intoppi. Nel tragitto da Turi alla clinica, sosta del detenuto per ben 18 giorni nel carcere di Civitavecchia. Qui, in quei giorni, si trovano anche Terracini, Scoccimarro, Pajetta, Negarville e Li Causi, ma a Gramsci non è consentito di vedere nessuno per espresso ordine della polizia.

Arriva a Formia il 7.12.1933.

La Clinica del dr. Cusumano è in riva al mare verso la punta estrema del golfo. È una vecchia costruzione ricavata da un antico palazzo con degli appartamenti privati proprio sopra la camera assegnata a Gramsci. La situazione logistica è discreta, come l’assistenza medica e infermieristica. Ma la stretta, ferrea sorveglianza di polizia non attenua per nulla il sistema carcerario duro a cui Gramsci è comunque sottoposto.

“Una volta la settimana, il giovedì, gli è permesso passeggiare nel giardino della clinica. Gramsci non veste la divisa da carcerato perché il dottor Cusumano, su consiglio di Amadeo Bordiga, confida al Prefetto di Littoria la preoccupazione di riflessi negativi sulla clientela della clinica e pertanto ottiene che il prigioniero vesta abiti civili” (testimonianza diretta di Antonietta De Meo, vedova Bordiga, riportata negli atti del convegno che si tenne a Formia il 14 dicembre del 2009)

In primavera del 1934 la situazione medica come rilevata da Arcangeli sembrò fare dei positivi progressi, egli faceva anche delle passeggiate in giardino e provò a riapplicarsi al lavoro. Ma le condizioni psichiche non migliorarono

Al punto che in autunno 1934 Gramsci inoltra ancora al Capo del Governo la richiesta ai sensi dell’art. 176 del CP della libertà condizionale:

Istanza del detenuto Antonio Gramsci, attualmente ricoverato e piantonato nella clinica del dott. Cusumano di Formia.

A S. E. Benito Mussolini, Capo del governo

Roma

         Nel dicembre dello scorso anno, Vostra Eccellenza mi concesse, date le condizioni catastrofiche della mia salute, di essere ricoverato in questa clinica, sotto la custodia dell’Arma dei CC.RR. Le nuove condizioni di vita, per i caratteri del mio male, non hanno tuttavia permesso di ottenere i risultati sperati, e il miglioramento precario, coll’inizio della stagione fredda, minaccia di essere annullato, mentre l’organismo, logorato dalle lunghe sofferenze, non è in grado di superare nuove crisi.

Poiché mi trovo nelle condizioni giuridiche e disciplinari indicate dall’articolo 176 del Codice penale per essere ammesso alla libertà condizionale, prego Vostra Eccellenza di volere intervenire affinché mi sia concessa una condizione di esistenza che mi consenta la possibilità di attenuare, se non annullare del tutto, le forme più acute del mio male, che da quattro anni ha demolito il mio sistema nervoso e ha reso l’esistere una continua tortura.

La libertà condizionale, confino di polizia, trattamento di confinato, ciò che la prego di volere concedere è la fine delle condizioni di recluso in senso stretto, con le sue forme di piantonamento e di vigilanza diurna e notturna, di tutte le ore, che impedisce la tranquillità e il riposo, nel caso mio necessario per arrestare la demolizione progressiva e torturante dell’organismo fisico e psichico.

         L’art. 191 del Regolamento carcerario in vigore esige che il condannato, il quale presenta domanda di ammissione alla libertà vigilata, indichi il Comune dove, nel caso di accettazione dell’istanza, intende stabilire la sua residenza. Date le condizioni speciali di questa mia istanza, la prego di volermi concedere, nel caso di accettazione, di consultare un sanitario, poiché non posso fare a meno di risiedere in una clinica o accanto a una clinica specializzata.

         Con ringraziamenti e ossequi.

Antonio Gramsci

Formia, Clinica Cusumano, 24 settembre 1934

(il documento, inserito nella cartella intestata a Gramsci del Casellario politico centrale dell’Archivio centrale dello Stato, reca in alto a sinistra questo appunto a matita: “Favorevole – indichi il Comune. Mussolini”)

Come si può notare il testo è redatto in maniera che non lasci trapelare alcun carattere supplichevole. Egli si richiama con freddezza agli articoli del Codice penale e del Regolamento carcerario.

La domanda viene accolta e il 25 ottobre 1934 viene emesso il decreto di libertà condizionale, ma, per dieci lunghi mesi, fino all’agosto 1935 la pratica navigò stranamente nei meandri della burocrazia e poco o nulla cambiò nelle condizioni di segregazione di Gramsci. Vennero tolte le inferriate alla camera e gli fu consentito di fare qualche passeggiata a piedi e anche in carrozza con Carlo e Sraffa, ma la sorveglianza non scemava di rigidità e per le visite era sempre richiesto il permesso speciale. In questo periodo Gramsci precisò la sede scelta per il trasferimento optando per la Clinica Quisisana in via Gian Giacomo Porro a Roma.

Una nuova crisi medica con attacchi di gotta e una punta d’ernia e l’aver fatto presente dell’inadeguatezza del vitto, gli valse finalmente il visto di trasferimento e il 26 agosto 1935 viene trasferito a Roma accompagnato dal prof. Vittorio Puccinelli che era andato a prenderlo. Il 27 agosto 1935 poté visitarlo il prof. Cesare Frugoni.

Ancora una volta la diagnosi è confermata in tutta la sua gravità: morbo di Pott, tbc polmonare, ipertensione a 200, crisi anginoidi, crisi di gotta. I medici sono convinti che ormai gli restano soltanto pochi giorni di vita.

Invece vennero i miglioramenti. Continuava la stretta sorveglianza dei carabinieri, ma Tatiana poteva visitarlo più spesso e più a lungo mentre si profilava la speranza di una definitiva liberazione. Una serie di amnistie e condoni portò il termine ultimo di carcerazione al mese di aprile del 1937.

Nell’estate del 1936, in virtù della sperata liberazione, progetta di ritornare in Sardegna a Santu Lussurgiu dove aveva compiuto gli studi ginnasiali.

Ne scrive a Giulia due lettere (estate del 36):

“[…]

Ciò che io intendo quando penso che un mio ritiro in Sardegna (che pure sento sarebbe e potrebbe essere utile alla mia salute) sarebbe l’inizio di un nuovo ciclo della mia vita…” 

In questo periodo di relativa quiete, certamente il più sereno degli undici quasi anni di carcerazione, tutta dura, repressiva, abusiva, potrebbe avere ripreso a scrivere i Quaderni, ma non è certo. Leggeva molto.

E nulla lasciava prevedere la fine improvvisa con una emorragia cerebrale che sopravvenne il 25 aprile 1937 e la morte due giorni dopo. Nelle stesse ore veniva emesso il provvedimento di scarcerazione definitiva.

 A Roma, alla clinica Quisisana rimase quasi due anni. In questo periodo notizie molto confuse. Le ultime ore di vita di Antonio Gramsci vengono raccontate con maniacale puntualità particolareggiata da Tatiana in una lettera alla sorella Giulia (forse) moglie di Gramsci del 12 maggio 1937. La lettera è riportata per intero a pag. 470 di “2000 pagine di Gramsci vol. 2 – lettere edite e inedite (1912-1937)”.

“[…]

Abbiamo fatto fare la cremazione. Ci sono state difficoltà per ottenere l’autorizzazione, ma infine l’abbiamo spuntata. Ho fatto prendere la fotografia della salma e fatto fare la maschera. Ora la faccio fondere in bronzo, e anche la mano destra. La forma di gesso è venuta discretamente, e spero che quella di bronzo verrà se mai meglio, dato che ho affidato il lavoro a uno scultore.

         Abbiamo anche le fotografie prese a Formia dopo che Nino ricevette il libretto da libero vigilato. Per ora non sono ancora andata in cerca di esse. Nino ha avuto l’emorragia cerebrale la sera del 25 aprile. Quello stesso giorno alle 12.30 gli avevo portato il libretto firmato dal cancelliere del giudice di sorveglianza del Tribunale di Roma, con la dichiarazione dell’ufficio di sorveglianza, che terminato il tempo della libertà condizionata, veniva sospesa ogni misura di sicurezza nei riguardi di Nino.

         Quel giorno non credo che Nino si sia sentito peggio del solito. Anzi posso dire che sia stato più tranquillo del solito. Come sempre sono ritornata in clinica nel pomeriggio verso le cinque e mezzo. Come al solito abbiamo parlato degli avvenimenti del giorno, e come mi dovevo preparare ad una lezione di letteratura francese e avrei voluto studiare un poco stando con Nino, mentre egli avrebbe continuato a leggere, egli ha protestato dicendo che ero venuta a tenergli compagnia, che non dovevo lavorare per conto mio, e che del resto non avrei dovuto accettare anche questo lavoro che richiedeva da me qualche preparazione speciale, che mi affaticavo troppo, ecc. Tuttavia abbiamo guardato insieme qualche parola del Larousse. Egli non ha voluto che gli leggessi del Corneille. Poi abbiamo conversato fino all’ora di cena. Alla mia proposta di portare il libretto a fare vedere giù, o chiamare il commissario, mi disse che non c’era nessuna fretta, che l’avrei potuto fare un altro giorno.

         Ha cenato, come al solito; ha mangiato la minestrina in brodo, un po’ di frutta cotta ed un pezzetto di pan di Spagna. È uscito, e fu riportato sopra su una sedia portata da più persone. Aveva perduto il lato sinistro, completamente, parlava benissimo, ha raccontato a più riprese che essendosi accasciato ma non battuta la testa, si è trascinato sino alla porta, e chiamava aiuto. Disgraziatamente ha esplicato degli sforzi enormi mentre avrebbe dovuto evitare qualsiasi emozione e sforzo. Messo a letto fu chiamato un medico tra quelli che si trovavano allora in clinica. Venne il dott. M.; non ha permesso fare alcuna iniezione eccitante dicendo che questa poteva peggiorare le condizioni, mentre Nino con molto impeto chiedeva l’iniezione, voleva un cordiale, anzi, diceva di fare la dose doppia, in una parola Nino era perfettamente in sé, con ogni sorta di particolari raccontò anche al dottore ciò che gli era accaduto. Quando poi gli fu portata la borsa calda ai piedi, mi disse prima che scottava troppo, poi dopo accennò al fatto che il piede sinistro non sentiva troppo calore.

Il prof. P. era atteso da un momento all’altro, perché chiamato per un’operazione d’urgenza. Avvertii la portineria e la camera operatoria perché appena giunto passasse a vedere Nino. Circa le nove egli venne, accompagnato dall’assistente; constatò la perfetta immobilità del lato sinistro, braccio e gamba, ordinò il ghiaccio in testa e niente borsa calda ai piedi, un clistere di sale, e Nino disse che non voleva ed ha raccontato anche a P. ciò che si era sentito. Ha precisato che non ha affatto perduto i sensi, ma solo la sensibilità e la mobilità del lato sinistro.

  1. provò a fargli muovere gli arti inferiori e si contentò di ripetere le parole di Nino: “La gamba sinistra è debole, sì, è debole”, ha detto. Ha ordinato che fosse fatto il salasso. Nino parlava ancora perfettamente, con appena qualche segno di stanchezza. P. mi disse che Nino doveva stare perfettamente tranquillo, mentre quando egli venne l’aveva trovato bocca sotto ed ha aiutato a metterlo sulla schiena.

Ora Nino cercava di trovare una posizione da poter riposare meglio, si afferrava con una mano alla sbarra del letto, la sola libera; ho dovuto avvertirlo di non sporgersi troppo da un lato, quello sinistro immobile, perché stava per cadere dal letto; a questa mia osservazione egli rispose con perfetta comprensione e si è sforzato a tirarsi dal lato opposto.

Disgraziatamente sono venuti a fargli il salasso solo dopo un’ora  e più; in questo tempo egli ha vomitato più volte; ero sola, ma sono riuscita ugualmente ad essergli utile, ha chiesto poi di orinare, e l’ha fatto, poi ricominciava ancora con gli sforzi di vomito, poi cercava di soffiarsi il naso che per forza delle cose si sarà ostruito con il cibo, parlava, poi cominciò a cercare il fazzoletto senza pronunciare verbo, a cercare tastoni, poi rimase con gli occhi chiusi e sempre si soffiava il naso.

Quando venne il medico per il salasso era senza parola, con gli occhi chiusi, e solo il respiro era molto affannoso. Il salasso non ha dato il risultato desiderato, e il dr. B fece capire alla suora che le condizioni del malato erano disperate.

Venne il prete, altre suore, ho dovuto protestare nel modo più veemente perché lasciassero tranquillo Antonio, mentre questi hanno voluto proseguire nel rivolgersi a Nino per chiedergli se voleva questo, quest’altro, ecc. Il prete mi disse perfino che non potevo comandare, ecc. La mattina seguente, verso le dieci venne F. Tutta la notte è passata senza che le condizioni siano minimamente modificate. Alla mia domanda rivolta a F. per sapere quali erano le vere condizioni del malato, egli disse che era gravissimo e che non poteva dirmi nulla, come non può dare alcun parere un architetto allorché una casa è crollata. Ha ordinato però di mettere delle sanguisughe sulle mastoidi, e certe iniezioni. Pareva che nel pomeriggio Nino respirasse un po’ meglio. Ma dopo ventiquattro ore dall’attacco gli sono ritornati gli sforzi di vomito, ed un respiro eccessivamente penoso. L’ho sempre vegliato facendo ciò che sapevo, bagnandogli le labbra, cercando di fargli ripristinare artificialmente il respiro allorché questo pareva volersi fermare; ma poi venne un ultimo respiro rumoroso, e sopravvenne il silenzio senza rimedio.

         Chiamai il dottore che confermò la mia paura. Erano le 4.10 del 27. […]