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Palmi Sala del Consiglio Comunale
Giovedì 23 febbraio 2023

di Natale Pace

La fine è là … a partire dalle pagine che il lettore sta leggendo. Dal silenzio delle immagini che scorrono nella sua mente. A partire dal ritmo di una proposizione, dalla vibrazione che una parola, una frase evocano richiamano riportano alla vita. Perché è là… nel silenzio delle immagini, che ogni frase gesto o fotogramma che transitano dentro noi… è sì una fine … Ma, al tempo stesso anche, l’inizio di un nuovo processo, di un nuovo sguardo. Di un nuovo principio. Di un accadere ultimo inatteso sempre originario. Di un singolare ininterrotto raccontare.
È questo il destino del linguaggio. La ventura di ogni narrare descrivere comunicare umano.
È questo l’itinerario intrapreso per il romanzo che Natale Pace, sindacalista scrittore poeta, giornalista del nostro tempo, ci consegna con un titolo emblematico, “Alex”: un vero e proprio invito allo scavo dei sentimenti, delle emozioni. Delle passioni umane.
“Alex”, infatti, oltre che il titolo dell’opera, è il personaggio protagonista del libro. Sul suo volto s’innesta, si specchia l’immagine straordinaria di una donna fiera, orgogliosa delle proprie radici. Ma, al tempo stesso, tracima e trabocca la dolcezza e il sorriso di una donna innamorata della sua terra, la Calabria. Di quella regione non certo e soltanto geografica, ma d’una Calabria interiore. Di quella Calabria ferita... sanguinante... senza forze! Di quella terra generosa, incontenibile che vede i suoi figli partire uno dopo l’altro, verso improbabili oceani di sogno e lidi sconosciuti.

Perché è tutto questo sfolgorare di luci, di albe, di tramonti questo improvviso ininterrotto sorgere e transitare di eventi, che ruota ed orbita attorno all’avvincente e trascinante romanzo di Natale Pace: innanzitutto il tema della “partenza”. Perché? Mah! … Forse perché la storia della partenza è per molti aspetti legata alla perdita del Sé, dei legami con la propria terra, le proprie tradizioni che talvolta portano il migrante a una condizione di solitudine estrema. Ma forse anche perché la storia di chi parte e lascia il proprio paese, è una storia di alienazione, d’isolamento, di estraneità: di bisogno di aiuto; di separazione dalla comunità di origine. Di disperazione per la perdita di ogni riferimento fisico sociale affettivo con la sua nuova condizione esistenziale di migrante. È una esperienza traumatica accompagnata spesso da un processo di lutto, più o meno elaborabile, che comporta però un’inevitabile crisi di identità. Lasciare il proprio paese risveglia sentimenti di privazione, di sradicamento che provocano, a volte, crisi depressive che possono sfociare in panico, in una vera e propria perdita d’identità. Una persona che parte, che lascia la propria terra, si sente sradicata.
È quanto emerge dall’ultimo rapporto Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno. L’emigrazione verso il nord: Roma Milano Londra Stoccarda Monaco; verso l’estero: la Svizzera, il Belgio, l’Olanda, la Germania, ha svuotato il Mezzogiorno delle energie e delle forze più giovani. Nello scorso anno la Calabria ha registrato la peggiore performance di partenze giovanili. È salita sul podio delle regioni che contano la maggiore percentuale di giovani che lasciano la propria terra (tredicimila novecento in un solo anno; circa 14.000), vale a dire il più elevato tasso migratorio delle regioni del Sud.
Partono i nostri giovani. Partono! Salgono su un aereo su un treno su un autobus il cui biglietto è ancora abbordabile. Si portano appresso valigie gigantesche, indumenti, oggetti personali cui sono legati, che hanno accompagnato la loro crescita e che presagiscono probabilmente l’irreversibilità di un ritorno.
E tuttavia, direi, che nell’immaginario collettivo di ciascuno di noi, c’è … esiste un’altra Calabria: quelle delle tante tantissime madri nel cui cuore fiammeggia il flusso dei sentimenti e l’amore per quei figli che vanno via lontano in cerca d’avvenire … di un lavoro che qui non c’è.
Ecco, accanto a questa sfera di sentimenti e affetti affiorano e si affiancano, all’interno del tessuto narrativo del romanzo, altre inesprimibili immagini: quella della disperazione e della speranza; del sacrificio e dei sogni. Dello sconforto e della fiducia. Giacché il filo conduttore che accompagna la dinamica degli eventi del romanzo di Natale Pace, è proprio lo sfruttamento della manodopera e del lavoro, la piaga endemica del caporalato, e quindi, l’assenza di sviluppo, di benessere, di progresso.
In tal senso, lievita, fermenta e si fa luce nella narrazione di Pace, non solo la Calabria di Alex ma di tutti quei giovani nei cui occhi – al momento di lasciare la loro terra – si accendono terrazzi di robinie ed agnocasti, prati di mentuccia e mercorella, ombre verdi d'ulivi e d’oleandri, giardini di limoni e buganvillee. È anche questa, ma non solo, la nostra Calabria; la Calabria di Alex, ragazza generosa incontenibile, il cui petto schianta tra gli addii… e ha nel cuore tutta la bufera…il delirio struggente dei mari che la circondano.
La scena che apre il romanzo è il ricordo di un’assemblea sindacale unitaria di CGIL CISL UIL sulla Piana, per protestare sulla morte di alcune lavoratrici, raccoglitrici di olive, che percorrono ogni mattina, chilometri e chilometri stipate su un furgone che le trasporta a raggiungere gli uliveti, dove lavorano dalle otto alle dieci ore al giorno, sempre chinate a terra, pagate una miseria, a cottimo, a seconda della stagione.
Senza assistenza sanitaria, molte di loro non sanno cos’è un contratto. Sembra un racconto d’altri tempi, ma è purtroppo una fotografia dell’Italia di qualche anno fa, poiché oggi con le macchine scuotitrici per gli uliveti, molte cose sono cambiate. E tuttavia, da tanti anni ormai, dal 2016, la nostra regione continua a rimanere al top per tasso di disoccupazione giovanile in Europa (il 55,6%).
La storia che Natale Pace ci propone risale al novembre del 1986 e narra d’un evento che tutti i giornali, compresi quelli a tiratura nazionale hanno a suo tempo riportato e su cui per alcuni mesi si sono canalizzati tutti i mass media di stampa e televisione. Si tratta di un incidente in autostrada, avvenuto subito dopo lo svincolo di Rosarno in cui morirono due madri raccoglitrici di olive e molte altre rimasero ferite. Il furgone che portava queste donne verso la Piana di Lamezia, carico oltre ogni limite di madri di famiglia, si catapultò, forse per l’eccessiva velocità, finendo fuori strada in un burrone. Fu da allora che emerse e venne pienamente alla luce il fenomeno abietto e vergognoso del caporalato, una forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera a basso costo nel lavoro dipendente; dei salari elargiti ai lavoratori, le cosiddette “giornate”, notevolmente inferiori rispetto a quelle del tariffario regolamentare e spesso prive di versamento dei contributi previdenziali.
La situazione da allora è poco cambiata. Il caporalato esiste ancora, diffuso nel settore ortofrutticolo del Mezzogiorno per la raccolta delle arance in inverno e dei pomodori in estate; esiste nel settore dell’edilizia nel Settentrione. Spesso collegato ad organizzazioni mafiose e malavitose, la piaga del caporalato trova generalmente grande riscontro nelle fasce più deboli e disagiate della popolazione, ad esempio tra i lavoratori immigrati, come gli extracomunitari.
Ma, tornando al romanzo, al suo tessuto narrativo, l’Autore, all’interno di analisi inquietanti, eventi storici sconcertanti, contesti sociali sconvolgenti, intreccia e imbastisce una tenerissima storia d’amore che diventa flusso sentimento passione incontrollabile tra due anime che si cercano, si trovano, s’innamorano perdutamente.
Ma, come si sa, non sempre esistono amori felici. Non c’è amore, a volte, che non dia dolore, che non ferisca, che non lasci il segno. Non c’è amore che non viva di pianto, perché niente per gli esseri umani è mai definitivo. E dopo giorni d’amore incantevoli, meravigliosi, trascorsi insieme a Luca, Alex parte per Torino con lui, suo nuovo compagno di sfide, di lotte sociali. Lascia la Calabria mentre agonizza la primavera tra i campi di Laureana; e sulle colline d’Aspromonte il fiume silenzioso della vita riprende il suo transito. Nel suo cuore c’è un solo pensiero, un solo sentire: “Calabria interiore, sei tutta dentro il sole che arde e nutre il grembo delle tue donne, Calabria inquieta, dolce … tenera di canti!” Sono questi i sentimenti di Alex che lascia la sua terra per tentare la fortuna al Nord.
Questa dunque la trama, la storia, i contenuti del romanzo. Ma quale il tessuto comunicativo, lo stile, il modo di esprimere, trasmettere idee sentimenti emozioni?
Diciamo che esso si snoda e si articola lungo due intuizioni fondamentali, due versanti essenziali. Il primo, quello della ragione, ha come obiettivo – nell’elaborazione e stesura del romanzo – di focalizzare l’evento, il racconto all’interno di ben precisi e circostanziati contesti storico-sociali. Il secondo versante è quello dei sentimenti. Delle finalità. E cioè: che tra le avversità sciagure calamità di questa nostra terra d’origine, da un lato, e le stagioni dell’incompiutezza dei nostri desideri e aspirazioni, dall’altro … solo l’Amore resta!
Alex ama la sua terra, il suo mare, i suoi profumi; l’accoglienza e l’ospitalità della sua gente, che non si ritrovano in nessun altro posto e angolo del mondo. Non ama certo il dissesto geologico e il saccheggio paesaggistico perpetrato dall’inondazione espansione dell’illegalità edilizia in tutta la regione. Ama i valori le radici le tradizioni legate a questa nostra terra; la fiducia e la speranza nel cambiamento, nel riscatto del suo tessuto sociale, E tuttavia, Alex non ama e non amerà mai, ma lotta, piuttosto, e combatte la mentalità opportunista e qualunquista dell’affarismo, l’indolenza senza pari di alcune fasce sociali legate alle forze malavitose e del crimine.
È questa la chiave di lettura del romanzo di Natale Pace, sindacalista e giornalista ormai di lungo corso: vale a dire, la constatazione del degrado all’interno di una regione tra le più belle del nostro Paese, il riscontro delle grandi incoerenze e contraddizioni di una classe dirigente poco lungimirante, miope e fallimentare.
È tutta qui l’architrave che sostiene i pilastri e le pareti, i contenuti e le speranze di un plausibile, tanto auspicato sviluppo economico, rinnovamento politico culturale, progresso sociale. Che tuttavia, però, da oltre un secolo tarda ancora a venire.
La domanda allora è: quali sono i temi e i nodi sociali presenti nell’opera? Innanzitutto, come ho già detto, i motivi e le cause dello sfruttamento economico sul lavoro, gli orari sfibranti, le paghe da fame. Da qui, perciò, l’esigenza di rinnovare completamente la mentalità e la concezione dell’idea di lavoro e di considerare i lavoratori le lavoratrici come persone, come prossimo; come soggetti di diritti, oltre che di doveri. E, in secondo luogo, il consolidamento del sentimento dell’Amore e la condivisione del bene comune, retaggi delle antiche civiltà magno greche; amore e condivisione intesi come sorgente di relazioni affettive umane e sociali espresse nei rapporti tra persone.
Da questa panoramica d’insieme: e cioè di analisi, prospettive, finalità, si può allora dire che il senso e il significato dell’avventura narrativa di Natale Pace cominciano da quell’evento originario del pensiero che è lo sguardo, la riflessione, il silenzio; un silenzio ovviamente inteso a scandagliare sentimenti affetti emozioni; a sondare profondità e abissi che ne motivano la direzione di senso, l’atteggiamento, il gesto… principi e strumenti tutti questi propedeutici ad ogni intelaiatura di stile, espressione, forma letteraria di un romanzo. E tuttavia il disegno e le finalità dell’opera non sono da rintracciare, come ho avuto già modo di dire, negli eventi, nella semplice cronaca dei fatti, ma in qualcosa di non detto, di inesprimibile.
Pace ne è consapevole di tutto questo, e cioè che l’indicibile dei sentimenti non può essere espresso in modo puramente logico. E poiché sa bene che solo il ritmo la cadenza la scansione… possono accordare timbri e tonalità allo spartito musicale, egli va alla ricerca unitaria di quell’ineffabile, inesprimibile armonia, che abbracci e catturi l’intero contesto.
In tal caso, allora, a quali corde affidarsi se non al ricordo, allo scavo, al potere evocativo della parola? Vale a dire: allo stile. Ed è così che nel romanzo di Pace, lo stile diventa metodo criterio … strumento efficace di esprimersi, senza sacrificare la cronaca, la trama, la sequenza dei fatti, degli eventi; senza rinunciare a tutto ciò che la proposizione sensata, logica, dice o può dire in modo visibile. Ma senza altresì smarrire né dissolvere, al tempo stesso, la sinfonia del non-detto … che è presente in Luca, in Alex, nella madre, in Pino; e che diventa una forma di preludio, di ouverture che penetra e accompagna tutta l’opera; e tuttavia continua a rimanere invisibile: ed è, appunto, questa Calabria interiore. ferita... sanguinante... senza forze! Questa terra generosa, incontenibile che vede i suoi figli partire uno dopo l’altro. Questa Calabria … dolce … tenera … di canti!
È così, allora, ... dagli abissi di Mnemosyne, la dea che nel ricordo si concede, è così che risalgono alla scena della vita i luoghi e i personaggi del romanzo: Alex, il fratello Pino, la madre, il nuovo compagno di Alex, Luca; il sindacato, le raccoglitrici di olive, icone tutte straripanti di voci saccheggiate e di silenzi, modulati dalla clessidra di un Tempo che non è al di fuori o al di sopra della storia ma … esso stesso storia. Storia che ne scandisce dall’interno il ritmo … senza mai fare intravedere il luogo aperto finale … in cui ogni cosa andrà a posto!
Ed è così da questa inesprimibilità del non-detto che domina penetra ed avvinghia ogni scena e partitura del romanzo … è così che sporge e si fa luce uno stile incalzante … frenetico, a volte tagliente, che esprime la vera interiorità dei due protagonisti. L’identità del romanzo è tutta qui: nello stile d’essere, di agire, di comunicare della protagonista attraverso degli “atteggiamenti” interiori, attraverso il suo “sentire” più autentico e immediato.
Ed è da qui, infine, che si apre lo sfondo, l’orizzonte letterario narrativo che origina, motiva e giustifica la direzione di senso dell’opera di Natale Pace: un’apertura sulla realtà del mondo calabrese con una chiave – secondo me – a due mandate.
Cosa voglio significare? Mi spiego: la prima mandata serve ad aprire e ad intendere quello che sta semplicemente scritto: la trama la cronaca il racconto. La seconda – più profonda e penetrante – è indirizzata all’ “avvicinarsi”, o – come a me piace dire – a “toccare” in forma poetica con l’anima, ciò che nel libro figura come semplice evento cronaca descrizione. E che tuttavia, però non figura né potrebbe essere espresso razionalmente; e che consiste nell’“indicibilità” del dolore e della gioia, della sofferenza e dell’amore; della tenerezza e del disprezzo; della bontà e della violenza. Di tutti quei sentimenti, insomma cui al pensiero logico viene negato l’accesso ... Ma non certo allo stile, direi quasi magnetico. Al modo di sentire poetico di Natale Pace.
Eh, sì, perché quello di Natale Pace è anche uno stile poetico: un modo di comunicare nitido efficace penetrante; un dialogare fitto incisivo travolgente. Un sentire oggettivamente inesprimibile attraverso il linguaggio meramente logico. Di pura cronaca. Un linguaggio che un sindacalista passionale sanguigno come Natale Pace, difficilmente potrebbe mandar giù.
Quale allora il messaggio che emerge dal romanzo? Quali, infine, le conclusioni?
Ebbene, sia il senso, sia il significato del romanzo si possono riassumere in una metafora. Nell’aforisma del vento. E cioè, che: mai il vento domanda il nome ai fiori: sale lungo il sentiero e … a volte li accarezza … a volte li scompiglia! Così è anche per l’Amore, gli affetti, le emozioni, i valori.
L’Amore, come il vento, non conosce frontiere limiti distinzioni. Alex e Luca s’incontrano, si cercano, si amano incondizionatamente. Convinti, più d’ogni altra cosa, che non siamo mai noi a dirigere e guidare il viaggio, ma è il viaggio, il cammino, il percorso stesso che guida, conduce, trasforma la nostra vita.
E se ciò è vero, sarà irresistibilmente vero che … pur nelle difficoltà e complessità del nostro vivere quotidiano… il cielo splenderà sempre uguale ogni sera sopra noi… raggiante luminoso … anche quando talvolta le stelle tardano a venire!”

Attilio Scarcella