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di Anna Foti

La Pace e la Speranza, riposta nella Gioia dell'infanzia e della gioventù, la natura partecipe con i suoi frutti, i suoi colori, i suoi odori e i suoi suoni del lavoro di preparazione del Presepe. Un'atmosfera laboriosa che celebra il paesaggio della Calabria che, nonostante i malfattori non rinuncino a rubare neppure la notte di Natale, si illumina per avvolgere la sua brava gente, quella che lavora e che crede nella luce della stella che "splende sulla notte", in quelle dolci creature che fluttuano, facendo sulle ali viaggiare pensieri, sogni e speranze.

Corrado Alvaro (San Luca 1895 - Roma 1956) giornalista e scrittore, con questa pagina tratta da "Gente in Aspromonte" (premio La Stampa nel 1931), la sua celebre raccolta di tredici racconti pubblicata nel 1930 e che assume il nome del primo lungo, ci fa dono di una pagina di letteratura rappresentativa del nuovo realismo del Novecento.

Spontanea ed essenziale, dedicata al Natale e allo spirito di condivisione che esso ispira e rinnova, essa è una miniatura preziosa che tutti custodiamo in un posto a noi caro per contemplarla nei momenti di sconforto o per sublimare un momento di gioia e tenerezza. Una descrizione pregna di realismo che valorizza l'universalità di un'immagine nobile e agreste, capace di rappresentare la natura nella sua maestosa laboriosità e di rivelare il profondo senso di questa Festività. Una dimensione visionaria che rafforza la rarità dei paesaggi dell'Aspromonte, definito dallo scrittore di Africo, Gioacchino Criaco, unico e ancora vivido avamposto magico dell'Occidente.

 “Natale è la festa più bella di tutte perché con la nascita del Signore l'innocenza tornò sul mondo. Da allora questa è la festa della speranza e della pace. Tutto sembra fatto per la gioia dei ragazzi che sono la speranza del mondo.

Nei paesi s'è lavorato tutta una settimana per fare il Presepe. Nel fondo si attendono rami di aranci carichi di frutta. Si lanciano ponti coperti di muschio da un punto all'altro, si costruiscono montagne, strade ripide, steccati per le mandre, e laghetti.

Il Presepe ha l'aspetto di un paesaggio calabrese. Dalle valli sbucano fiumi, le montagne sono ripide e selvagge. Su tutto pende un bel giallo dell'arancio come un frutto favoloso. Il figurinaio che ha fatto i pastori sa che i ragazzi si fermeranno a guardare, una per una, le figurine. Perché, meno i soldati di Erode, tutti i pastori somigliano a persone conosciute.

C'è quello che porta la ricottina. C'è il cacciatore con il fucile, c'è quello che porta l'agnello e fuma una lunga pipa, c'è il mendicante. C'è la gente che balla fra il tamburino, il piffero e la zampogna davanti al Presepe.

C'è l'osteria dove si ammazza il maiale e la gente beve, accanto alla fontana dove la donnina lava i panni. Ci sono persino i carabinieri che hanno arrestato un tale che ha rubato anche nella Santa Notte. I Re Magi spuntano dall'alto della montagna coi moretti che guidano i cavalli. La stella splende sulla grotta e gli angeli vi danzano sopra leggeri e celesti come i pensieri dei bambini e degli uomini in questi giorni”.

Un'atmosfera che Corrado Alvaro aveva affidato alla carta anche da giovanissimo.

La pubblicazione della sua prima opera narrativa, fino al 2014 inedita, data alla stampa con i caratteri di Donzelli con il titolo “Un paese e altri scritti giovanili (1911 – 1916)”, ha portato alla luce un altro scritto alvariano dedicato al Natale. La raccolta, curata dall’antropologo calabrese Vito Teti, contiene scritti, poi confluiti nel fondo Lico, che anticipavano tante tematiche e atmosfere poi ricorrenti nella produzione più adulta. Tali scritti erano stati consegnati da Alvaro, nel 1940 circa, a Domenico Lico, suo amico fraterno e compagno di studi al Galluppi di Catanzaro. Videro la luce, grazie all'opera di Vito Teti, nel 2014.

Risalente al 1916, mentre il giovane Alvaro si trovava a Livorno, convalescente e reduce dal Carso durante la Grande Guerra, anche questo affresco sprigiona la luce delle tradizioni e del suono mentre splende il Presepe.

"Natale era dunque venuto. I ricchi si facevan mandare torrone e dolci dalle città, il popolo aveva conservato olio, fior di farina e miele; e tutte le case fin dalla Vigilia fumavano allegramente e per l’aria c’era odore e stridore di olio vergine, i ragazzi avevan conservato la cera per fare la pallottolina dei pifferi di canna, nelle case si erano puliti bene i lumi attendendo che le campane snodassero quel loro canto frettoloso che chiamava a raccolta.

E le campane suonarono. Allora da tutte le case, dai casolari bassi, dai palazzi alti, dalle capanne sparse nelle valli, le famiglie si precipitarono sul davanzale delle finestre tendendo un lume e prosternandosi. C’erano i lumi ad acetilene del sindaco, c’erano quelli un po’ fiochi, un po’ rossastri delle lampade ad olio da certe finestre che si aprivano una volta al mese, quando il pastore tornava dalla montagna e la famigliola una volta tanto non andava a letto al buio ma accendeva un tocco di resina o di barabasso. I lumi sparirono, le finestre si chiusero, gli usci si serrarono e si capiva che il paese a quell’ora mangiava, aspettando di andare a messa. Il primo a rompere il buio e il silenzio fu lo zampognaro: si snocciolò lungo la via principale, dai vicoli scuri una fila di donne raccolte, colle mani sul seno, una dietro l’altra. Le fiaccole di resina illuminavano la via, i vetri della chiesa erano rischiarati, il presepe splendeva. I ragazzi facevan ressa sui gradini dell’altare e soffiavano nei pifferi di canna, le donne intonavano il canto limpidamente" (da "Un paese e altri scritti giovanili 1911 – 1916").

Una versione più estesa del brano è stata pubblicata on line nel 2018 sul Corriere della Calabria (https://www.corrieredellacalabria.it/contributi/item/169790-il-giovane-alvaro-un-racconto-di-natale-di-100-anni-fa/) con l'introduzione di Vito Teti che, sulle colonne della Gazzetta del Sud, lo scorso anno, invitando a non rinunciare all’antico universo sacro e magico, scriveva: "Nel tempo avrei conosciuto vigilie e giorni di Natale, Capodanno, Epifania molto diversi da quelli dell'infanzia. Perché ritorno, in un tentativo di meditazione e di raccoglimento, ai quei riti, volti, cibi ed emozioni? Forse perché, come scrive Corrado Alvaro, tutto accade in quei primi interminabili dieci anni trascorsi nel paese o nel luogo natio e il resto della vita non è altro che una sorta di conferma, esplicitazione, inveramento di quegli anni. Forse perché, in fondo, non sono mai andato via dal paese in cui giravo e giocavo alla strenna. Forse perché, dopo un lungo peregrinare ed errare (nel duplice significato del verbo), la vita mi ha lentamente riportato a casa. Dovunque ti trovi qualcosa ti manca e qualcosa ti riempie".