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di Anna Foti 

Raccontare una storia d'amore bellissima in questa giornata in cui siamo chiamati a riflettere sulla profonda ferita sociale della violenza sulle donne può apparire stridente, discorde, inopportuno.

Opporre alla brutalità la tenerezza, alla tenebre la luce, all'oblio la memoria, all'indifferenza la condivisione per lasciarsi salvare e per sperare può sembrare banale forse anche sciocco.

Invece non credo che lo sia a patto che seguano consapevolezza, che seguano impegno e azioni, che segua rispetto, che segua un atto definitivo di coscienza.

L'ho imparato conoscendo la storia di Domenico e Chiara come ho imparato che ci sono amori che imprigionati nel buio dell'ignoranza e dell'egoismo perdono lo stato di grazia di essere ancora chiamati così; ci sono sentimenti di possesso che nulla centrano più con l'amore e che sempre più spesso ormai attanagliano le relazioni di coppia. E poi ci sono gli Amori che fanno elevare lo spirito, che insegnano, che moltiplicano l'amore stesso e si nutrono di condivisione, germogliano ovunque e nonostante tutto. Restano forti e splendenti anche al di là della vita. Tra questi amori c'è quello tra Domenico e Chiara.

Erano andati a Brescia per cercare lavoro, con i loro venti anni e le loro speranze. Si erano innamorati proprio a Reggio Calabria, su quel lungomare di Catona in cui si erano conosciuti e in cui, giorno dopo giorno, passeggiata dopo passeggiata, era nato ed era cresciuto un sentimento profondo e il desiderio di restare insieme anche a costo di andare lontano dalla Calabria, alla ricerca di opportunità e di futuro. Una condizione comune e una storia di straordinaria profondità. Un amore giovane ma già grande e coraggioso che è germogliato proprio in quei luoghi che dal 2017 sono più ricchi di segni e di ricordi affidati al fresco profumo di lavanda, ai colori dei ciclamini e alla forza antica di un ulivo.

Ricordi che non possono supplire, non possono guarire un'atroce assenza ma che restano e resistono. Domenico e Chiara non ci sono più.

Fu una notte drammatica quella tra il 3 e il 4 marzo 2012 quando due fidanzati ventenni, Domenico Tortorici e Chiara Matalone, originari rispettivamente di Salice e di Catona, Reggio Calabria furono uccisi, a San Polo di Brescia, da Mario Albanese definitivamente condannato all’ergastolo nel 2014. Con loro furono uccisi anche la mamma di Chiara, Francesca Alleruzzo, e Vito Macadino, l’uomo che quella sera l’accompagnava. A commettere i delitti fu appunto Mario Albanese, ex marito di Francesca che non aveva accettato la nuova vita dell'ex moglie e che dunque uccise lei, la persona che lei stava frequentando. In caso c'erano anche la figlia che la stessa Francesca aveva avuto dal primo matrimonio, Chiara, e il fidanzato Domenico. Uccise anche loro, risparmiando la vita alle tre sue figlie nate dal precedente legame con Francesca. I due giovani furono dunque vittime indirette di un femminicidio.

Riportare questi fatti è dovere di cronaca ma farlo in questa giornata, in cui è ancora necessario registrare la pervasività e la gravità di un fenomeno come la violenza sulle donne nella nostra società. assume una connotazione particolarmente significativa. A Francesca non è stato consentito di iniziare una nuova vita senza l'ex marito e il progetto di costui atto ad ostacolare quella libertà e quella felicità ha travolto anche i due giovani innamorati. Ha travolto anche Chiara che aveva raggiunto in Lombardia la madre per cercare un lavoro e Domenico che ha seguito Chiara nei progetti per il futuro e nella morte, che è rimasto al suo fianco. A soli 20 anni una testimonianza di fedeltà nel bene e nel male di struggente profondità.

Senza dimenticare nessuna vittima di questa piaga sociale che è la violenza sulle donne, raccontare oggi di Domenico e Chiara vuole intonare un meraviglioso e ostinato inno all'Amore autentico che non conosce violenza se non quella subita. Un amore che tutti vorrebbero nella propria vita. Un sentimento genuino e profondo capace di unire in un sogno coraggioso due giovanissimi, in un tempo così carico di precarietà e incertezze che loro hanno vissuto e che ancora oggi tutti viviamo. Un Amore che nessuna violenza potrà mettere a tacere e che mai genererebbe alcuna violenza a sua volta. La memoria, pur non potendo cancellare il dolore grande di perdere un proprio caro, per altro in circostanze così violente, è vitale come necessario è custodire la loro storia d'Amore, luminosa e bella come i loro venti anni e il loro desiderio di viverli insieme e a pieno.

Una fine tragica e irreversibile che ha portato via un figlio, una figlia, un fratello, una sorella, un amico, un amica e che più che mai oggi dobbiamo tenere a mente quale segno fulgido e autentico di quella Speranza e di quella Bellezza che, con tenerezza e al contempo forza, sfidano l'oblio e la brutalità.

In quei luoghi, a Catona, in cui pare ancora di vedere i due giovani passeggiare teneramente mano nella mano davanti ad un tramonto e dove i due rimarranno giovani per sempre, resta non un ricordo di morte ma un messaggio di Vita e Amore grazie a quell'albero della pace piantato da un padre sopravvissuto ad un figlio che è stato capace di trasformare il suo immenso e inesauribile dolore in gesti di gioia e amore per la vita. Nuccio Tortorici ha scelto l'amore per suo figlio e ha scelto di farci dono anche dell'amore tra i due giovani, uniti da un sentimento profondo e insieme uccisi lontano da casa e dai propri cari. Un'aiuola e due cuori per non dimenticare. L'iniziativa è stata realizzata appunto da papà Nuccio, con il contributo dell'Avis comunale di Reggio Calabria e la preziosa la collaborazione del Comune e del settore Ambiente. Il lungomare di Catona è così, ancora adesso, un luogo di memoria in cui la storia di Domenico e Chiara rivive e risuona; un luogo non a caso scelto anche per essere il capolinea della Corricatona organizzata da papà Nuccio in loro memoria l'anno prima.

“Erano due giovani gioiosi e pieni di vita. Per questo l’associazione si propone di onorare la loro memoria con iniziative di aggregazione che animino i luoghi in cui loro hanno trascorso ore felici e spensierate. Il lungomare di Catona è proprio uno di quei luoghi in cui possiamo ritrovarli sorridenti e in cui, tutti insieme e con quello stesso sorriso, possiamo continuare a tenerli con noi”, così il padre di Domenico, presidente dell’associazione "Amici di Domenico e Chiara", aveva spiegato lo spirito della seconda edizione della “Corricatona – trofeo “Amici di Domenico e Chiara” nel 2016.

“Quello che eravamo prima l’uno per l’altro, lo siamo ancora”, Da “La morte non è niente” di Henry Scott Holland: questa promessa che la loro vita ha incarnato, è scolpita sui cuori di marmo posti al centro dell'aiuola, la cui adozione ha costituito una tappa di un cammino di memoria iniziato all'indomani della tragedia proprio su impulso del padre di Domenico, Benedetto (Nuccio) Tortorici che ha fatto dono della sua storia nel volume curato dal giornalista Domenico Malara e da me, con il titolo “Domenico e Chiara, amore e dolore di padre. Brescia, 4/3/2012" (Città del Sole Edizioni). Una gremita sala dell'allora Provincia di Reggio Calabria ha dato il via ad una serie di appuntamenti che hanno unito Reggio Calabria e Brescia nel segno del coinvolgimento delle giovani generazioni. Due cerimonie di consegna di borse di studio poste a disposizione dall'associazione "Amici di Domenico e Chiara" per studenti in difficoltà diplomatisi a Reggio presso l'Itis Panella Vallauri l'Ite Piria Reggio Calabria, frequentati rispettivamente da Domenico e da Chiara, e presso l’Istituto Comprensivo Est 2 di San Polo di Brescia dove Nuccio si è recato incontrando i ragazzi, accolto dalla Casa delle Associazioni.

Un percorso condiviso, scandito da iniziative di aggregazione e condivisione, che nel tempo ha visto accanto all’associazione “Amici di Domenico e Chiara”, a papà Nuccio, a mamma Marisa, ai fratelli di Domenico, Palmiria e Tony, a papà Dino e alle sorelline di Chiara, attori del territorio come l'Avis comunale di Reggio Calabria, il Centro Sportivo Italiano Reggio Calabria e l’associazione “Nuova Solidarietà” di Catona; ha visto amici come il giovane musicista Francesco Bruzzese, che ha intonato le cover di Ligabue, cantante amato dai giovani, e l'attore Gigi Misefari che ha anche presentato la serata sotto le stelle in memoria dei ragazzi all'arena Alberto Neri di Catona nel 2015. Un cammino che fortemente ha voluto papà Nuccio, anima addolorata ma profondamente desiderosa di condividere e di continuare ad amare suo figlio e la sua Chiara con una memoria donata al Prossimo.

La storia di Domenico e Chiara è anche una storia giudiziaria che nell'arco di due anni ha consegnato alla giustizia Mario Albanese, il camionista trentaquattrenne barese condannato anche in secondo grado all'ergastolo per l'omicidio plurimo e volontario di Francesca, Vito, Domenico e Chiara.

I giudici di secondo grado hanno confermato quanto già statuito dal gup del tribunale di Brescia Enrico Ceravone. Il processo di primo grado era stato celebrato con il rito abbreviato e si era concluso con la lettura del dispositivo nel luglio del 2013.

Il collegio difensivo delle famiglie Tortorici e Matalone, composto dai legali Nunzio Denisi, Ornella Carbone e dal perito di parte Nico Pangallo, ha visto confermata in toto la linea della piena colpevolezza.

La perizia d’ufficio curata da Federico Durbano, nel giudizio di primo grado, aveva già escluso qualsivoglia patologia psichiatrica in base alla quale la difesa dell’imputato, affidata ad Alberto e Matteo Scapaticci, aveva tentato di invocare appunto l’incapacità di intendere e volere al momento degli efferati delitti. Capacità rimasta piena anche secondo i giudici di secondo grado, chiamati a riconsiderare la circostanza della premeditazione per l’eventuale riduzione della pena richiesta appunto dai legali dell’appellante. Richiesta non accolta e una condanna per Mario Albanese rimasta massima perché incontestabile è risultato il suo intento di uccidere Francesca che desiderava una nuova vita e innegabile la sua volontà di possederla al punto da impedire nel modo più estremo che altri uomini entrassero nella sua vita. Nessuna follia, nessuno sconto, nessuna giustificazione, ma feroce lucidità nel pensiero e nell'azione brutale che almeno dinnanzi alle tre sue figliolette si era fermata.

Una verità piena, mai scontata e che, pur non placando il senso di perdita inestinguibile di un figlio, costituisce un tassello di enorme importanza per andare avanti con consapevolezza e fiducia in un percorso di memoria, impegno e cambiamento. Un percorso che darà forza ad altre storie e voce ad altre famiglie, che potrebbe salverà altre donne dalla violenza subita e dalla morte, altri uomini dalla violenza commessa, altre vittime dalla seconda morte dell'oblio e noi tutti dalla rassegnazione ad una società brutale e iniqua. Ma è un'occasione che solo l'agire di ogni comunità, la coscienza di ogni individuo possono concretizzare in uno scatto di civiltà, di responsabilità e di cambiamento reale.