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di Anna Foti

Non avrebbe potuto più imparare cose nuove, sorprendersi, sognare di diventare grande. Non sarebbe diventata donna, neppure adolescente, Angela che quel 2 agosto aveva quasi tre anni. Lei non sapeva, e neppure sapeva sua madre Maria, con lei in procinto di andare in vacanza sul lago di Garda, che quello sarebbe stato l'ultimo sole che le avrebbe scaldate, che la notte precedente sarebbe stata l'ultima, che non avrebbero fatto più ritorno a casa a Gricciano di Montespertoli, in provincia di Firenze. In un attimo la loro vita è stata spazzata via insieme a quella di altre ottantatre persone senza colpa alcuna. Loro erano, senza dubbio, tutti innocenti.

Una morte inaccettabile, rimasta avvolta in un mistero, o come specifica meglio Carlo Lucarelli, in un segreto che qualcuno ha conosciuto ed è morto portandoselo via e che qualcuno conosce ancora senza rivelarlo. Un segreto intrappolato nelle pieghe insondabili e inestricabili di una storia complessa che a distanza di quarant'anni ancora cela trame e orditi di respiro internazionale, lascia trapelare uno spirito cospirativo e opprimente in un'Italia attraversata da tensioni nazionali ed estere, profondamente penetrata da poteri occulti, flagellata dai cosiddetti anni di Piombo.

Angela, nel posto più sicuro che per ogni bimbo e ogni bimba è dove si trovi la sua mamma, invece è in pericolo. Maria, che pensa di vivere in un Paese libero in cui basta essere accanto alla sua piccola per proteggerla, viene tradita. Chi lo ha deciso? Chi lo ha voluto? Perché?

Sogni e balocchi, vacanze e spensieratezza, favole e voci rassicuranti, in una parola la vita. Invece per Angela, da quel 2 agosto 1980, di tutto questo nulla più. In un attimo la piccola viene sopraffatta dalla fine di tutto: la terra le salta sotto i piedini, quel rumore assordante, l'ultimo che le sue giovanissime orecchie sentono, la stordisce, un inferno si scatena davanti ai suoi occhietti invasi dalla polvere, la favola di una vita ancora tutta da scrivere diventa una storia scolpita dalle schegge impietose e implacabili di una morte precoce.

Angela Fresu, che avrebbe compiuto tre anni il tre settembre successivo, è la vittima più giovane della strage di Bologna del 2 agosto del 1980, la più grave consumatasi in tempo di pace e la più cruenta della nostra storia Repubblicana. Angela subisce inerme, con la madre ventiquattrenne Maria del cui corpo non resta nulla, la violenta e implacabile manifestazione di poteri che minano a quella Democrazia che avrebbe dovuto proteggere la sua innocenza, la sua infanzia, il suo diritto di crescere e vivere.

Angela con la sua mamma non era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Anche rifuggire da questo luogo comune, insulto per ogni intelligenza e offesa ulteriore per le Vittime e per i Familiari, non placa la consapevolezza del tributo di vite innocenti che, troppo spesso nella completa impunità, persone, che hanno goduto e godono di coperture e protezioni, impongono attraverso la Storia ai liberi cittadini al solo scopo di gestire il potere.

Nessuna casualità ma un preciso disegno criminale, un abominio della coscienza, sporcata dalle azioni e che nessuna inquietudine ne ha tratto, che sacrifica vite innocenti sull'altare del potere e di obiettivi nascosti, tanto ambiti quanto inconfessabili, evidentemente non perseguibili alla luce del sole. Ed invece alla luce del sole di agosto, è saltata in area l'intera ala Ovest dell'edificio che ospitava la sala di aspetto di seconda classe della stazione Centrale di Bologna, la tavola calda e altri uffici. Quella sala d'aspetto oggi accoglie un monumento con tutti i nomi delle vittime.

Colpiscono in una stazione e non in una qualsiasi; colpiscono in quella che rappresenta uno snodo centrale che collega tutta l'Italia, dove pulsa il cuore del Paese.

Colpiscono in quella stazione perché, dopo Ustica, si preferisce viaggiare in macchina o prendere il treno e, in quel primo rovente sabato di agosto, proprio la stazione centrale di Bologna è gremita; colpiscono in un orario di punta, perché quella deve essere una Strage.

Nel 1980 Bologna è una città rossa, ben amministrata dall'esponente del partito Comunista Renato Zangheri, è una città ancora ferita dalla bruciante tragedia di Ustica, consumatasi poco più di un mese prima, e dalla strage dell'Italicus, il treno in viaggio la notte tra il 3 e il 4 agosto del 1974 da Roma verso Monaco, dilaniato da un'esplosione appena uscito dalla galleria più lunga d’Europa, quella di San Benedetto Val di Sambro, alle porte del capoluogo emiliano, in cui hanno perso la vita 12 persone e 48 sono rimaste ferite.

E' un contesto complesso, in cui si aggrovigliano e si intrecciano interessi, certi 'intoccabili' non si sono fatti alcuno scrupolo a ingurgitare Angela, sua madre e altre ottantatre persone innocenti, colpite brutalmente e vilmente, in un momento di tranquillità in cui, da cittadini liberi, partono per le vacanze oppure lavorano in quegli uffici venuti rovinosamente giù. Ci sono persone di ogni età e di svariate provenienze. Anche molti turisti stranieri. La bomba che esplode a Bologna colpisce ben oltre i confini nazionali.

La piccola Angela incarna in modo drammaticamente calzante il contesto che ha efficacemente descritto il giornalista di SkyTg24, Paolo Volterra, nello speciale dedicato a questo quarantesimo anniversario, parlando di morti indiscriminate e dolore innocente "utili" per far capire a qualcuno chissà cosa. E' il linguaggio spietato e crudele della Stragi che l'Italia ha conosciuto e subito.

Un'azione ignobile, intollerabile. Eppure il primo processo per questa Strage impiega sette anni per essere istruito, a causa di depistaggi e insabbiamenti; le sentenze di condanna definitiva arrivano dopo quindici anni e riguardano solo gli esecutori materiali, il primo processo per i mandanti prende il via soltanto quest'anno, in concomitanza con il quarantesimo anniversario, grazie all'impegno imponente, tenace e instancabile dei Familiari delle Vittime che non si sono mai arresi, stimolando le Istituzioni a cercare la Verità e supportando la magistratura nel perseguimento della Giustizia.

Loro sono stati le sentinelle della nostra Democrazia, della Democrazia di tutti, anche di coloro che hanno pensato, e forse ancora pensano, che questa Strage non li abbia mai riguardati e non li riguardi, perché non hanno perso un loro caro quel giorno in quell'esplosione. Invece quello che è accaduto riguarda tutti, perché non è stato un incidente. E se non è stato un incidente, allora è stata una strage.

L'orologio si ferma... per Sempre

Una violenta esplosione, alle 10:25 di quel giorno di quaranta anni fa, uccide 85 persone, ferendone 216. Crolla l'ala ovest dell'edificio che ospita la stazione Centrale di Bologna. Lì, di fronte al binario 1, c'è anche la sala d'aspetto di seconda classe.

Era un sabato e, con la complicità delle testimonianze che riferiscono di un fortissimo boato e di una violentissima deflagrazione e del reperimento del cratere da parte dei vigili del fuoco, in modo inequivocabile e allarmante, la più rassicurante per quanto drammatica ipotesi di un incidente cede il passo alla certezza di attentato dinamitardo. Per tutto il giorno si parla dell’esplosione di una caldaia, forse in buona fede o forse per rendere più tollerabile l'accaduto o forse per depistare e concedere tempo a chi deve scappare, nascondersi, far perdere le proprie tracce. Stesso espediente per Piazza Fontana. Ma nella stazione centrale di Bologna, in quel punto dell'ala Ovest dell'edificio, una caldaia non c'è mai stata. Poi quel cratere liberato dalle macerie non lascia più dubbi.

In occasione della strage più grave del Dopoguerra, si spezzano ottantacinque vite, tra queste anche quella del reggino Antonio “Totò” Lascala, ferroviere in pensione di 56 anni, sposato con tre figli, diretto a Cremona dalla figlia Enza. Il suo treno dalla Calabria è in ritardo; la perdita della coincidenza e il successivo treno da prendere inducono Totò a quell'attesa fatale. Un drammatico destino comune a tanti, in quella giornata infernale.

Bologna è nuovamente ferita, l'Italia è ancora una volta 'richiamata' per aver dato spazio nelle sue piazze alla gente, alle persone portatrici di istanze di riforma e cambiamento. Niente dopo quel giorno sarebbe stato più la stesso. Chiusura, disimpegno politico e crisi profonda dell'etica fanno già capolino. "La Legge Basaglia, l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, su impulso della prima ministra della Repubblica, Tina Alselmi, il referendum sul Divorzio, delineano un Paese desideroso di modernizzazione. Da quel momento in poi le cose cambiano. Cambia l'antropologia della società. La strage di Bologna è un importante spartiacque", commenta la storica Cinzia Venturoli.

La verità storica, a lungo controversa, ostica e complessa, e pertanto complicata da ricomporre, comincia solo adesso a delineare scenari più chiari; quella giudiziaria, proprio quest'anno potrebbe raggiungere importanti risultati sul piano rimasto ignoto dei mandanti. Nonostante le sentenze definitive che condannano gli esecutori materiali, esponenti della destra eversiva- sempre professatisi innocenti - il quadro resta evidentemente ancora incompiuto. Un'indagine complicata in un contesto aggravato da depistaggi e insabbiamenti.

La piazza del dolore e della solidarietà

In un attimo piazza delle Medaglie d'Oro, antistante la stazione Centrale di Bologna, quel 2 agosto si ritrova destinata ad essere ricordata come luogo di disperazione e speranza, dolore e solidarietà, strazio e consolazione.

Arriva il presidente Sandro Pertini a soffrire con i familiari e sostenere una Repubblica vacillante. Accorrono vigili del fuoco, forze dell'ordine, ambulanze e tantissimi cittadini e volontari che si mettono a cercare tra le macerie, a scavare, a soccorrere, a dare una mano. Tutta Bologna capisce che è successo qualcosa di gravissimo, nessuno si sottrae e tutti si mettono a disposizione. Autobus divengono ambulanze, altri mutano la loro destinazione, trasportando corpi all'obitorio fino a quando il cielo si fa scuro. E' un'apocalisse inattesa che bisogna affrontare. Tutti operano incessantemente fino al fondo a quel giorno drammatico, estraendo corpi fino a notte.

Quel giorno in realtà a soffocare sotto le macerie non sono state solo le persone presenti in stazione a Bologna ma anche amici e familiari che hanno trascorso ore di angoscia e sofferenza prima di scoprire la più atroce delle verità sui loro cari.

Ogni anno - tranne questo a causa delle disposizioni anti-Covid - tale luogo è divenuto meta del corteo della memoria che il 2 agosto ricorda le 85 Vittime della Strage.

Il boato, le sirene, il silenzio e le parole

"Queste morti strazianti chiedono giustizia. Troppe incertezze e colpevoli deviazioni hanno subito le indagini da Piazza Fontana a oggi. Troppe interferenze e coperture sono state consentite (...). Torniamo su questa piazza, dove di fronte ad altri morti avevamo detto che la strage dell’Italicus non avrebbe mai dovuto ripetersi. Se si è ripetuta, nonostante la lotta e la volontà democratica del nostro popolo, e in misura più grande e se possibile più atroce, questo è motivo per noi di amarezza e dolore più cocente. Piangiamo le vittime di un delitto la cui infamia non sarà mai più cancellata dalla coscienza del nostro popolo e dalla storia”.

In piazza delle Medaglie d'Oro la deflagrazione violenta e il silenzio irreale, le sirene, lo sconcerto e lo sgomento; quattro giorni dopo, in una piazza Maggiore gremita e in lacrime, queste le parole pronunciate dal sindaco di una città ancora una volta ferita. Le parole sono del sindaco di Bologna, Renato Zangheri, in occasione dei funerali delle Vittime celebrati il 6 agosto 1980.

Il presidente Sandro Pertini è al cospetto delle otto bare portate in spalla in piazza Maggiore in rappresentanza di tutte le Vittime e poste sull'altare, dinnanzi alla Basilica di San Petronio. Tra queste, anche quella piccola, bianca, di Angela, una dei sette bambini rimasti uccisi.

Ma che Paese è l'Italia del 1980?

E' innanzitutto il Paese ancora scosso dalla strage di Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), un Paese fragile, terrorizzato dalle bombe sui binari alle porte di Bologna mentre viaggia l'Italicus (la notte tra il 3 e il 4 agosto 1974) e a Gioia Tauro in Calabria mentre viaggia la Freccia del Sud (22 luglio 1970); è un Paese indebolito dalla strage di Peteano (31 maggio 1972), in provincia di Gorizia, e dall'attentato in piazza della Loggia a Brescia (28 maggio del 1974). Soltanto nel decennio compreso dal 1969 al 1980 muoiono in Italia 135 persone e oltre 780 rimangono ferite.

 E' un paese la cui Democrazia è minacciata da forze destabilizzanti e in cui i servizi segreti sfuggono al controllo interno per rispondere a superiori logiche di intelligence internazionale.

E' un Paese profondamente e dolorosamente segnato dal terrorismo rosso e nero - entrambi strumentalizzati da autoritari e occulti progetti di ristrutturazione del Paese - che va verso un nuovo equilibrio politico, dopo il delitto Moro e il naufragio del Compromesso Storico, che non piaceva ai Russi e neppure agli Americani.

E' il paese fortemente esposto alla penetrazione della P2 (Propaganda due), loggia massonica guidata dall'imprenditore Licio Gelli (espulso dal Goi nel 1981 dopo la scandalo delle liste di iscritti) impegnata nella realizzazione del Piano di Rinascita dell'Italia che di Democratico aveva solo e irriverentemente il nome.

L'Italia del 1980 è un paese in preda ad un processo di restaurazione, di una riorganizzazione del potere gestita da pezzi di Stato infiltrati da forze occulte, inquinati, deviati ma profondamente mimetizzati e 'coperti'. Coperti da chi? Forse dallo Stato stesso visto che l'Italia è l'unico paese europeo ad aver conosciuto la Stragi di Stato.

E' l'Italia in cui le Brigate Rosse uccidono il 16 marzo a Salerno il procuratore della Repubblica di Salerno, Nicola Giacumbi, e poi a Roma il 18 marzo il giudice Girolamo Minervini. E' l'Italia in cui il 19 marzo a Milano esponenti del nucleo armato di Prima linea, gruppo di estrema sinistra, uccidono il magistrato e accademico Guido Galli e in cui il 23 giugno successivo a Roma due esponenti dell'organizzazione eversiva neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari uccidono Mario Amato, sostituto procuratore della Repubblica di Roma.

In Italia è già segretamente attiva l'organizzazione paramilitare Gladio, allineata alla rete internazionale Stay-behind (restare indietro), promossa dalla Central Intelligence Agency (Cia) per arginare l'influenza comunista e contrastare una possibile avanzata nell'Europa occidentale dell'Unione Sovietica e dei Paesi del Patto di Varsavia, attraverso azioni di sabotaggio, guerriglia, tensione, con la collaborazione dei servizi segreti e non solo.

L'Italia, per sua collocazione geografica nel Mediterraneo, si trova sottoposta a pressioni da entrambi i blocchi Est e Ovest della Guerra Fredda: la Russia ha invaso l'Afghanistan e l'America è vigile e in allerta. Gli scenari mutano e gli equilibri, in cui anche l'Italia gioca un ruolo tutt'altro che di secondo piano, sono in continuo fermento.

L'Italia del 1980 è sicuramente portatrice di una legittimazione atlantica, che ancora oggi si traduce in una limitazione di sovranità nei termini di desecretazione di atti sottoposti a vincoli internazionali, ed è anche un Paese che si ritrova a trattare per il petrolio e per il gas e che alla Libia, invisa alla Nato, ammicca per ragioni storiche e commerciali, assumendo nei suoi confronti un ruolo estremamente ambiguo.

E' l'Italia in cui gli accordi scaturiti dalla Seconda Guerra Mondiale sono ancora in piedi come lo è anche il muro di Berlino, segno di una guerra Fredda che tra Stati Uniti e Russia si combatte a colpi di intelligence, con patti spesso siglati sottobanco e senza ufficialità. 

E' l'Italia dove imperversa la strategia della tensione, posta in essere da poteri occulti che puntano in modo più raffinato, rispetto ai Golpe militari ai quali il mondo ha assistito negli anni Settanta in Cile, in Argentina e nella repubblica Dominicana. Invece dei carri armati, delle sparizioni, degli arresti, in Italia sono stati deviati pezzi dello Stato per rovesciare l'ordine democratico della Costituzione e ergerne un altro, versando sangue innocente. Le indagini sulle stragi di quegli anni lasciano emergere un disegno sovversivo criminale sottaciuto e ben protetto, in cui ai gruppi terroristici neofascisti era stata affidata la mano armata. Un arruolamento da parte di chi? Della P2 allo scopo di mantenere gli equilibri internazionali, dunque portatrice di legittimazione atlantica?

E' l'Italia in cui la Strage di Bologna viene definita fuori tempo o forse il segno della necessità di nuove strategie per conseguire nuovi equilibri.

Le indagini, le ipotesi, i processi e i depistaggi

"Il 3 agosto del 1980 il procuratore della Repubblica di Bologna, Ugo Sisti, apre un fascicolo per Strage. Le due perizie - 1980 e 1981 - redatte dal Enrico Marino della polizia Scientifica di Bologna e dal colonnello dell'Artiglieria di Firenze, Ignazio Spampinato, esperto di armi e di esplosivi, accertano che in una valigia con piedini di metallo e cerniera, appoggiata su un tavolino della sala d'aspetto di seconda classe della stazione Centrale di Bologna, c'erano ventitre chili di esplosivo. Nel 2019, pur ridimensionando la quantità di esplosivo utilizzata, si stabilisce che la bomba era costituita da elementi deflagranti sicuramente scaricati da ordini bellici della Seconda Guerra Mondiale. Una pratica tipica dell'eversione di Destra", così ricostruisce il giornalista e scrittore Carlo Lucarelli, autore e voce del documentario in onda sulla rai "2 agosto 1980, un giorno nella vita" (https://www.raiplay.it/video/2020/07/2-Agosto-1980-un-giorno-nella-vita-46d24aad-fd23-4821-b634-b6110b42c4ae.html).

Ad oggi ci sono ancora dolore e sdegno per una verità giudiziaria raggiunta solo sul versante esecutorio. "I processi giudiziari sono giunti fino alle condanne degli esecutori della strage alla stazione di Bologna, delineando la matrice neofascista dell’attentato. Le sentenze hanno anche individuato complicità e gravissimi depistaggi. Ancora restano zone d’ombra da illuminare", ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nei giorni scorsi a Bologna per incontrare i Familiari delle Vittime, in occasione del quarantesimo anniversario della Strage.

Ciò che è stato accertato riguarda la firma della Strage eseguita dalla Destra eversiva, dunque una Strage Politica, nonostante non siano mancate versioni differenti estranee a questa tipologia di terrorismo ed invece inquadrate in un contesto estero.

A Bologna, in quei giorni, viene infatti anche accertata la presenza di alcuni componenti di un gruppo terroristico vicino al movimento di Liberazione della Palestina. La loro posizione è archiviata dalla magistratura, ancorché in costanza di un residuo sospetto. Con la pista palestinese, anche quella spagnola, quella franco-tedesca, quella libica e quella libanese sono inizialmente vagliate dagli inquirenti. Ci sono delle tensioni interne alla magistratura in questo frangente. Non mancano diversi punti di vista tra ufficio Istruzione e Procura della Repubblica bolognese.

Trovano spazio anche ipotesi incentrate sul coinvolgimento dei servizi segreti, addirittura di fazioni diverse interne alla stessa intelligence, al coinvolgimento della Libia e del colonnello Gheddafi. Il 27 giugno precedente si era consumata la tragedia del volo Dc9 Itavia, partito da Bologna e mai atterrato a Palermo, perché misteriosamente precipitato al largo del Tirreno tra Ustica e Ponza.

E' appena il caso di ricordare che nel cielo affollato di quel 27 giugno 1980 forse c'era anche un aereo con a bordo lo stesso Gheddafi. E' appena il caso di ricordare che strettamente legato a questa tragedia era legato il mig libico abbattuto e precipitato in Calabria, con ogni probabilità nello stesso giorno, e non quasi tre settimane dopo, come inizialmente era stato fatto credere.

Ipotesi diverse, qualcuna più credibile di un'altra, ma tutte inconcludenti. Piste che non conducono a nulla per infondatezza o perché si accerta il solo scopo di depistare le indagini e insabbiare la Verità.

Il più grave dei depistaggi, che costa anche un processo e delle condanne definitive per calunnia aggravata dallo scopo terroristico ed eversivo, è quella del gennaio 1981 quando sull'espresso Taranto-Milano, in uno scompartimento di seconda classe, i carabinieri trovano una valigia che contiene armi, munizioni, guanti, passamontagna ed esplosivo analogo a quello usato per la strage di Bologna. Solo da qualche giorno circola il rapporto "Terrore sui treni" che pone lo Stato in allerta rispetto ad attentati terroristici in alcune stazioni ferroviarie. Ciò attira anche l'attenzione dei magistrati. Più tardi si sarebbe scoperto essere stata tutta una montatura per sviare l'attenzione, perdere tempo, depistare. Un processo avrebbe più tardi accertato precise responsabilità e condannato quattro persone, tra cui Licio Gelli, maestro venerabile della P2.

Intanto, l’iter di accertamento delle responsabilità, passato attraverso oltre 50 ordini di cattura emessi alla fine dell'agosto del 1980 nei confronti di esponenti del terrorismo neofascista, si arena. Le persone sospettate vengono rilasciate per decorrenza termini.

Si consolida, in un'Italia perbene, che presto sarebbe stata umiliata dalla sentenza di assoluzione in appello per la strage di piazza Fontana, lo spettro di un altro processo per Strage senza colpevoli. 

Per sollecitare la ricerca della Verità nasce l’associazione dei Familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, nel cui statuto all’art. 3 si evidenzia la finalità di”… ottenere con tutte le iniziative possibili la giustizia dovuta…”. Un contributo luminoso e  fondamentale è stato sempre reso da questo scorcio offeso e oltraggiato della Società Civile, popolato dai Familiari, che hanno trovato sempre la forza di riemergere e di lottare per una Memoria che fosse anche Verità e Giustizia. L'associazione nasce il 1 giugno del 1981 e soltanto tre mesi dopo l'inchiesta rischia di essere archiviata senza colpevoli dal tribunale di Bologna. Le indagini invece proseguono e ci sono degli avvicendamenti in Procura e nell'ufficio Istruzione.

I pubblici ministeri Libero Mancuso e Attilio Dardani e i giudici istruttori Vito Zincani a Sergio Castaldo spulciano tra i documenti. Lo scopo è adesso quello di collegare indagati, interessi e responsabilità.

Arriva una svolta importante che conduce all'individuazione di Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, giovane coppia militante nel gruppo eversivo Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) d'ispirazione neofascista. Già in carcere a scontare altri ergastoli per altri omicidi da loro serenamente ammessi, vengono incriminati quali esecutori anche della strage di Bologna.

Nel gennaio 1987 inizia il processo che dura otto anni e si conclude con due pronunce a sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza definitiva nel novembre del 1995, conferma le condanne all'ergastolo per strage e omicidio di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, quali esecutori materiali. Entrambi, da oltre un decennio, sono posti in regime di libertà condizionale. Pur avendo ammesso di aver commesso altri gravi delitti, Fioravanti e Mambro si sono sempre dichiarati innocenti rispetto alla Strage di Bologna, come anche l'altro complice, condannato in via definitiva nel 2007 a trent'anni di reclusione, Luigi Ciavardini, all'epoca minorenne e giudicato da altro tribunale, anche lui esponente dei Nar.

Nel gennaio 2020, i giudici della corte di Assise di Bologna condannano  all'ergastolo in primo grado per concorso in strage anche l'ex esponente Nar, Gilberto Cavallini, considerato supporto logistico per la strage. Anche lui si professa innocente.

Condanne definitive giungono anche per il grave depistaggio - il ritrovamento di esplosivo nel gennaio 1981 sull'espresso Taranto-Milano -  accertato a carico del generale Pietro Musumeci, vicecomandante del Sismi, del consulente Francesco Pazienza e del colonnello dei Carabinieri Giuseppe Belmonte, ufficiale del Sismi. Tutti vengono condannati, in via definitiva, per calunnia aggravata con finalità eversiva, dunque depistaggio. Condannato anche il grande maestro venerabile della loggia P2, Licio Gelli.

Sospesa dal Grande Oriente d'Italia nel 1976 per aver assunto finalità deviate rispetto a quelle statutarie, la P2 denunciata dalla Commissione parlamentare di inchiesta, presieduta della ministra Tina Anselmi, quale organizzazione criminale ed eversiva, viene sciolta con apposita legge nel 1982, l'anno successivo al reperimento della lista degli appartenenti alla loggia, durante la perquisizione presso l'azienda di Licio Gelli, disposta dai giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone e allo scandalo conseguito. In quella lista figurano 962 affiliati tra politici, parlamentari, ministri, funzionari, uomini dei servizi segreti, generali delle forze dell'ordine, banchieri, giornalisti, imprenditori. Una fitta rete di contatti che, come la magistratura avrebbe in seguito accertato, Licio Gelli ha sfruttato per depistare le indagini sulla Strage e per spostare l'attenzione dal terrorismo dei Nar a quello internazionale. Figura in quella lista anche Pietro Musumeci, vicecomandante del Sismi, con lui accusato e condannato per depistaggio.

La sola verità giudiziaria sugli esecutori e sui depistarori. E i mandanti? E il movente?

Nel 2011 l'associazione dei Familiari delle Vittime, che nonostante le condanne non ha smesso di cercare e di documentarsi, presenta una memoria corposa al fine di chiedere la riapertura delle indagini e l'accertamento di responsabilità dei livelli superiori, ad oggi ancora sconosciuti.

Le nuove indagini e quel filo che unisce il cuore dello Stato agli estremisti di destra, passando per Licio Gelli e la P2

Lo scorso febbraio la Procura generale della Repubblica di Bologna - che nel 2017 aveva avocato l'inchiesta dalla Procura ordinaria - ha emesso l'avviso di conclusione delle indagini preliminari sui mandanti della strage di Bologna. Nell'avviso firmato dall’avvocato generale Alberto Candi e dai sostituti, procuratori generali Umberto Palma e Nicola Proto, vistato dal procuratore generale Ignazio De Francisci, a seguito delle indagini condotte da Guardia di Finanza, Digos e Ros dei carabinieri, figurano come potenziali mandanti Licio Gelli, il suo braccio destro Umberto Ortolani, in qualità di mandanti finanziatori, Federico Umberto D’Amato, ex direttore dell’ufficio Affari riservati del Ministero dell'Interno, quale mandante, Mario Tedeschi, storico direttore del periodico culturale di destra Il Borghese, in qualità di organizzatore e responsabile della gestione mediatica prima e dopo la strage e dei depistaggi. Tale avviso non ha raggiunto nessuno di loro. Sono tutti morti e non più perseguibili; ma non sono gli unici a figurare nell'atto giudiziario. Ci sono altre persone per le quali si chiede, in occasione dell'udienza dello scorso maggio, il rinvio a giudizio. Anche loro si professano innocenti.

Sono il generale dei Carabinieri Quintino Spella e l’ex capitano dell'Arma Piergiorgio Segatel, accusati di depistaggio, Domenico Catracchia, amministratore di una società immobiliare, accusato di aver reso al pubblico ministero false informazioni, e poi Paolo Bellini, ex “primula nera” dell'organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale, reo confesso del militante di Lotta Continua Alceste Campanile, vicino agli ambienti di Cosa Nostra e affiliato alla Ndrangheta in Emilia Romagna, ritenuto esecutore della strage in concorso con le quattro persone già condannate, quali Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, e, si legge nell'avviso, “con altre persone da identificare“. Il suo presunto coinvolgimento nella Strage era stato già vagliato e archiviato precedentemente. Ma adesso ci sono degli elementi nuovi. Anche lui si dichiara innocente.

"Sono passati 40 anni e finalmente il nostro desiderio di avere verità comincia a profilarsi possibile, grazie al lavoro della Procura generale di Bologna. Quei magistrati, a 40 anni di distanza, hanno reso onore ad un altro grande magistrato, Mario Amato. A quei magistrati diciamo due cose: grazie, non vi lasceremo mai soli", ha dichiarato, in occasione delle celebrazioni ovviamente ristrette svoltesi a Bologna il 2 agosto u.s., Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione dei Familiari delle Vittime della Strage di Bologna. Vittime alle quali, in occasione della commemorazione del quarantennale della Strage è stata intitolata la Stazione del capoluogo emiliano - che da adesso si chiamerà Bologna Centrale - 2 agosto 1980 - alla presenza della presidente del Senato, Maria Elisabetta Casati Casellati, e del vice ministro dell'Interno, Vito Crimi.

Tutti si dichiarano innocenti

Un tribunale giudicherà, come ha già fatto in passato, quando ad un processo si è arrivati. Ad oggi, tuttavia, l'unica innocenza che resta pienamente incontrovertibile è solo quella delle Vittime. E' quella di Angela e degli altri sei bambini che invece di andare in vacanza, furono risucchiati da un vortice di morte programmato, pianificato e deliberato. E' quella di Maria e delle altre persone, madri, padri, figli e figlie, coniugi, sorelle, fratelli, nonni, zii, nipoti, amici che non sono sopravvissuti a quell'orrore, che non sono tornati più tornati a casa dai loro cari.

Per chi non c'era, per chi ha saputo dopo, non è meno doveroso oggi sapere, ricordare e scegliere costantemente da che parte stare, sostenere in ogni modo la ricerca della Verità e della Giustizia

Solo la forza della Resistenza Civile, che ciascuno è chiamato a praticare ogni giorno con passione, fatica e pazienza, sconfiggerà il male assoluto che alimenta ogni Strage, contribuendo a rifondare la nostra tanto vituperata e offesa Democrazia.

 

"Un diario di viaggio, l'ultima pagina interrotta nel bel mezzo della scrittura"

 

Una staffetta di lettura per non dimenticare la strage alla stazione di Bologna del 1980 è stata animata, su un testo della storica Cinzia Venturoli (anche lei tra coloro che leggono), da Alessandro Bergonzoni, Moni Ovadia, Carlo Lucarelli, il cardinale di Bologna Matteo Zuppi, il direttore de L'Espresso Marco Damilano, Tita Ruggeri, Benedetta Tobagi e Roberto Morgantini. Si tratta di brani tratti da testimonianze di soccorritori, sopravvissuti, familiari insieme a scritti di Norberto Bobbio e Alberto Moravia. Il video è curato da Paolo Lambertini, vice presidente dell'associazione dei familiari delle vittime del 2 Agosto (https://video.repubblica.it/edizione/bologna/bergonzoni-e-ovadia-la-maratona-di-lettura-sulle-vite-spezzate-il-2-agosto/364977/365530).