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di Anna Foti

L’Argentina ospita e vince i suoi primi Mondiali di Calcio mentre una intera generazioni di giovani scompare sotto la mano atroce della dittatura di Jorge Rafael Videla che, trionfante agli occhi del mondo, consegna la Coppa al capitano Daniel Passerella. A un chilometro di distanza dallo stadio Monumental di Buenos Aires lo stesso Videla conduce la sua “guerra sporca” torturando presso l’Esma (Escuela Superior de Mecánica de la Armada) chi non rinuncia alla Libertà e chi non abbia appoggiato il golpe miliare di due anni prima. 

In Spagna dopo 40 anni di regime dittatoriale franchista, viene approvata la Costituzione, preludio della nuova era democratica da lì a breve affidata (attraverso la cosiddetta Transizione spagnola) ad una monarchia parlamentare. 

In cielo si avvista Caronte, il primo e più massiccio dei satelliti di Plutone. Tre americani, Ben Abruzzo, Maxie Anderson e Larry Newman, riescono nell’impresa di sorvolare l’oceano Atlantico, per la prima volta a bordo della mongolfiera Double Eagle II, sbarcando il 17 agosto 1978 a Miserey vicino a Parigi, 137 ore 6 minuti dopo la partenza da Presque Isle, nel Maine. 

È l’anno dei tre Papi: Città del Vaticano e il mondo cattolico assistono alla morte di papa Paolo VI e di Papa Giovanni Paolo I, dopo solo 33 giorni di Pontificato, e accolgono papa Giovanni Paolo II che reggerà il Pontificato improntato al dialogo con le altre religioni fino al 2005 e che nel 2014 sarà proclamato Santo.

Con cilindro, frac e ukulele Rino Gaetano suona Gianna a Sanremo, a Marina di Pietrasanta Mina si esibisce per l’ultima volta in pubblico e in Giamaica ha luogo il primo festival di musica Reggae del mondo.

Siamo nel 1978, anno in cui Giovanni Leone si dimette dalla massima carica dello Stato Italiano per le accuse relative allo scandalo Lockheed e Sandro Pertini, partigiano della Resistenza e padre costituente, viene eletto presidente della Repubblica; anno in cui viene depenalizzato l’aborto, in cui su proposta della ministra Tina Anselmi (partigiana e prima donna ad essere stata ministra già nel 1976), l’Italia si dota del Servizio Sanitario Nazionale, in cui con la legge Basaglia i manicomi vengono banditi sulla carta e lo stigma delle malattie mentali viene sfidato dalla essenziale e a lungo violata dignità delle persone che ne sono affette. Un anno iniziato per l’Italia con l’ennesima crisi di governo e con l'incarico conferito a Giulio Andreotti per la formazione di un nuovo esecutivo. 

Proprio il 9 maggio (che dal 1985 è anche festa dell'Europa) di ventotto anni prima, l’idea di Europa unita si era manifestata nel discorso (la dichiarazione di Schuman) tenuto a Parigi nel 1950 dall’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman. 

Intrecci e storie 

A distanza di più di oltre quarant'anni, la memoria custodisce in una stessa giornata, il 9 maggio 1978, due pagine dolorose nella storia italiana, scritte tra Roma e Palermo, quest’ultima rimasta a lungo più in ombra: il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, uomo politico, statista di arguto spessore, uno dei padri della Costituzione, due volte Presidente del Consiglio dei Ministri, quattro volte ministro della Repubblica, ininterrottamente deputato dal 1946 fino alla morte segretario e poi presidente del partito della Democrazia Cristiana, maggiore partito in Italia e in Sicilia negli anni Cinquanta-Sessanta che ebbe il merito di essere guidato da lui e il demerito di entrare in fruttuosi affari Cosa Nostra; l’assassinio di Peppino Impastato, giornalista palermitano e militante nella Nuova Sinistra, ribellatosi alla sua stessa famiglia, affiliata alle cosche del luogo, e promotore di un'appassionata e coraggiosa attività politica-culturale antimafiosa, fondatore di Radio Aut, radio libera e autofinanziata, attraverso la quale denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, candidato, nei giorni dell’esecuzione mafiosa, nella lista di Democrazia Proletaria in lizza per il Consiglio Comunale di Cinisi. 

Dunque Brigate Rosse e Cosa Nostra le due piaghe che, in quel frangente, contemporaneamente manifestarono nel nostro Paese la loro massima portata distruttiva, guidando la mano di due barbari omicidi nello stesso giorno. La strategia della tensione, culminata, ma non esauritasi, con i fatti di piazza Fontana nel dicembre 1969, gli anni di Piombo e l’attacco al cuore dello Stato, sferrato con spietatezza, e la mano atroce e violenta della Mafia negli anni immediatamente precedenti all'ascesa cruenta di Toto Riina, determinata con la seconda guerra di Cosa Nostra tra la famiglia Badalamenti, con gli affiliati Bontate, Di Cristina e Calderone, e gli emergenti Corleonesi, nell'attentato mortale a Peppino Impastato. Le prime smantellate negli anni Ottanta, non senza aver mietuto negli anni che seguirono altre vittime, l’altra ancora perniciosa e infestante.

Un destino amaro e arbitrariamente strappato lega, quindi, le due personalità di Aldo Moro e Peppino Impastato, segnate rispettivamente da acume e lungimiranza politica e da impegno politico e sociale e profondo senso di giustizia e integrità.

Aldo Moro e le Brigate Rosse 

A Roma, la tragedia cominciò a consumarsi il 16 marzo in via Fani quando, al momento del sequestro, persero la vita, massacrati dai brigatisti, gli agenti della scorta dell’onorevole Moro, Oreste Leopardi, Raffaele Jozzino, Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Domenico Ricci. Dopo una prigionia di 55 giorni, il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano di una Renault 4 a Roma, in un luogo fortemente simbolico: via Caetani, vicino a Piazza del Gesù (sede nazionale della Democrazia Cristiana) e a via delle Botteghe Oscure (sede nazionale del Partito Comunista Italiano al quale Aldo Moro stava tendendo una mano, nell’ambito del progetto ampio di governo di "solidarietà nazionale"). Ma le Brigate Rosse, il cui motto era “Colpirne uno per educarne cento” avevano deciso che quel progetto andava ostacolato ad ogni costo. 

Lo scenario politico era complesso e per comprenderlo a fondo e' necessario inquadrarlo alla luce di quanto accadde nell'immediato Secondo Dopoguerra.

Sconfitto definitivamente il Fascismo, nell'Italia liberata dagli Alleati, altri scenari politici e culturali subentrarono, influenzando il suo ruolo nella scacchiera della Guerra Fredda, con ripercussioni profonde e inevitabili anche sulla sua politica interna. L’Italia liberata e un anno dopo repubblicana dotatasi poi di una Costituzione, fu prodromo dell’Italia Centrista impegnata a tenere fede al dovere di estromissione delle Sinistre dal Governo. Neppure tre anni erano trascorsi dal 25 aprile 1945 e l’Italia, pur non dimenticando la Resistenza, guardava al futuro in cui avrebbe dovuto rivestire un ruolo attivo al fianco degli Alleati nel Blocco Occidentale e in contrapposizione al Blocco Comunista. Che i comunisti governassero, seppure in nome della solidarietà nazionale, non sarebbe stato contemplato all'indomani della Guerra. Lo scenario negli anni cambiò, complici il compromesso storico e il clima nel quale Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista e Deputato della Repubblica, vicino allo strappo con Mosca, dialogava con Aldo Moro presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana e anche lui deputato della Repubblica. Tutto ciò nell'interesse di un Paese che necessitava di riforma sociali urgenti. Berlinguer e Moro erano i principali fautori di questo dialogo e dell'avvicinamento delle forze politiche che rappresentavano. Un clima di mediazione di opposta e inconciliabile ispirazione rispetto a quello delle Brigate Rosse, organizzazione terroristica di estrema sinistra, maggiore gruppo di avanguardia rivoluzionaria, che operò in Italia fin dall'inizio degli anni Settanta e fino agli anni Ottanta, attraverso una struttura in cellule con organizzazione politico-militare responsabile di atti di guerriglia urbana e lotta armata, quali il sequestro e l’uccisione di politici, magistrati e giornalisti. Lo scopo era quello di sostituire lo Stato imperialista con una Democrazia popolare espressione della dittatura del proletariato e del Comunismo.

Moro era diventato un simbolo, il grande statista, dunque sacrificabile sull’altare della “ragion di Stato”. Lo scrittore siciliano di Racalmuto, Leonardo Sciascia, nell’estate del 1978, condusse a caldo e pubblicò un’analisi di quegli avvenimenti ne “L’Affaire Moro”, leggendo le tante discusse lettere scritte dalla prigionia. Si affidò in apertura ad un’altro intellettuale che aveva analizzato gli anni precedenti, Pier Paolo Pasolini.

A metà degli anni Sessanta Pasolini (“Empirismo eretico”) aveva definito Aldo Moro “il meno responsabile” delle colpe per le quali la DC avrebbe dovuto essere sottoposta a processo, ma ne aveva anche criticato il linguaggio.

Il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, noto come eccidio di via Fani, nel momento in cui si stava per formare il nuovo Governo di solidarietà nazionale, costituirono il culmine di quella seconda fase di attività, finalizzata all’attacco diretto e violento allo Stato e caratterizzata da una nuova strategia, non più orientata alle intimidazioni nella fabbriche. Il periodo del loro smantellamento coincise proprio con la prima sentenza del processo Moro, nel 1983 quando a Roma, unificati i processi "Moro - uno" e "Moro - bis",  i giudici della Prima sezione della Corte d'Assise di Roma emisero la sentenza che condannò all'ergastolo 32 persone del nucleo storico brigatista. Il processo d'appello di 1985, ridusse il numero delle persone condannate al carcere a vita a 22. Cinque anni dopo, con la sentenza del processo Moro ter nel 1988, 153 persone furono condannate. Seguirono i processi Moro - quater e Moro - quinquies. Un lavoro importante che gli inquirenti condussero contro le Brigate Rosse. Il commando che eseguì il sequestro Moro fu scardinato in più fasi. Mario Moretti, dichiaratosi l'esecutore materiale dell'omicidio dello statista, arrestato nel 1981, condannato all'ergastolo, mai pentito né collaboratore - dichiarò soltanto fallimentare la lotta armata - dal 1997 vive in regime di semilibertà; Prospero Gallinari, già latitante al tempo del sequestro Moro, arrestato nel 1979, mai dissociatosi e mai pentitosi, fu rilasciato per motivi di salute nel 1994 e morì nel 2013; Adriana Faranda e Valerio Morucci, autori del cosiddetto Memoriale Morucci, dissociatisi dalle BR godettero del regime di sgravio della pena per ricusazione dell'organizzazione e, arrestati nel 1979, vennero rilasciati nel 1994; Raffaele Fiore, con Valerio Morucci, Franco Bonisoli e Prospero Gallinari responsabili dell'eccidio di via Fani, condannato all'ergastolo nel 1983, non si è mai pentito ma dal 1997 gode del regime di libertà condizionale; Franco Bonisoli, arrestato nel 1977, condannato all'ergastolo nel 1983, vive adesso in regime di semilibertà; Bruno Seghetti, arrestato nel 1980, mai pentitosi - anche lui dichiarò soltanto fallimentare la lotta armata - negli anni Novanta fu ammesso al lavoro esterno e gli fu accordato il regime di semilibertà; Barbara Balzerani, l'ultima ad essere arrestata nel 1985, venne rilasciata in regime di libertà condizionale nel 2006, pur non essendosi mai dissociata dalle Brigate Rosse. Si suppone che altri, mai identificati, abbiano preso parte al sequestro e che dunque tale pagina di storia sia tutt'altro che completamente chiara.

Numerosi benefici in cambio di collaborazioni consentirono negli anni Ottanta di smantellare l’organizzazione anche se rimangono innumerevoli pieghe inesplorate, drammatiche e oscure.

La lettera di Maria Fida Moro

In occasione di questa giornata della Memoria per tutte le Vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice, istituita in tale data nel 2007, anniversario che per il Covid-19 e' stato celebrato "a distanza", risuonano le parole della figlia di Aldo Moro, Maria Fida, già senatrice della Repubblica, che ha denunciato ancora una volta il mancato riconoscimento del padre come vittima del terrorismo. Già nell'aprile scorso, Maria Fida Moro aveva scritto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, richiamando l'intuizione del padre e rievocando i tempi in cui da giovane, con altri volontari scout (anche figli di parlamentari), contribuì alla sperimentazione della Protezione Civile, prima della sua istituzione: "Desidero ricordarLe che un uomo, i cui diritti inviolabili sono stati cestinati dal Parlamento e dallo Stato, che si chiamava Aldo Moro ed era mio padre, è – insieme al ministro Taviani – la persona che ha accettato di creare da prima in via sperimentale la Protezione Civile subissato dalle preghiere della sua figlia maggiore diciassettenne, di ritorno dal Vajont dov’era stata con un gruppo scout e che si era messa in testa che dovesse essere approntato un servizio per le grandi emergenze, nel quale i volontari civili affiancassero i Vigili del Fuoco della prima colonna mobile ed i militari nell’aiuto delle popolazioni colpite dalle calamità. E così mi sono trovata a Firenze alluvionata per due mesi (e mi rifiuto di sentir parlare di angeli del fango), ed ho visto i Vigili del Fuoco lavorare fino a svenire e negli anni seguenti morire di tumore al fegato quasi tutti quelli che avevano fatto funzionare le idrovore. (...) Ma come per telescuola, l’educazione civica e tanto altro, il grazie va ad Aldo Moro per aver permesso che esistesse la Protezione Civile Italiana. Non sarebbe ora che, a 42 anni dalla sua morte terrificante, l’Italia desse a mio padre gli stessi identici benefici previsti dalla legge e concessi ad ogni altra vittima del terrorismo escluso lui".

 

Peppino Impastato e Cosa Nostra

L’altra piaga, oggi ancora infetta, si e' acutizzata nello stesso giorno di quarantadue anni fa in fondo allo Stivale. Sempre il 9 maggio venne, infatti, ritrovato in fondo all’Italia, a Cinisi in provincia di Palermo, il corpo lacerato di Peppino Impastato, assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio in un casolare, mentre era in svolgimento la campagna elettorale per la rielezione del consiglio comunale. Il suo corpo, con una carica di tritolo, venne fatto esplodere posto sui binari per inscenare un suicidio. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi si sarebbero recati alle urne e avrebbero votato ugualmente per lui, rieleggendolo.

All’indomani dell’omicidio, mentre già correva l’idea del suicidio, per non chiamare in causa formalmente Cosa Nostra, si fece strada anche, ma invano, l’ipotesi dell’atto terroristico sui binari di Cinisi. La matrice mafiosa di questo delitto fu ammessa dopo diversi anni. Tra i casi di cui si occupò Peppino Impastato vi fu anche quello della strage di Alcamo Marina, in provincia di Trapani, in cui vennero uccisi i due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta e per la quale furono accusati cinque giovani del posto, indotti con la tortura a dichiararsi colpevoli pur essendo innocenti. Tra questi anche Giuseppe Gulotta, il cui processo di revisione fu celebrato proprio presso la Corte d'appello di Reggio Calabria nel 2012. Non si sa cosa Peppino Impastato avesse scoperto poiché quella cartella fu portata via dai carabinieri dalla casa di mamma Felicia e mai più restituita.

Ci vollero 23 anni prima che Vito Palazzolo fosse condannato a 30 anni di reclusione; ce ne vollero 24 prima che una condanna all’ergastolo, come mandante di quest’omicidio, colpisse Gaetano Badalamenti. Ciò accadde solo nel 2002. Il comune di Cinisi, la regione Siciliana e Felicia Bartolotta, si erano costituiti parti civili nel processo. La morte ha colto il boss nell’aprile del 2004. 

Nel dicembre si spense anche Felicia, prima madre a costituirsi parte civile nei processi di mafia e ardente custode dell'impegno di Peppino. Sopravvissuta a quello che le lasciarono del figlio, lei difese la sua memoria per il resto della vita.

Per troppi anni vi è stato il vile tentativo di sminuire la storia di Peppino, di manipolare l’accaduto, di nascondere la verità di un delitto mafioso. Subito dopo l’omicidio, nessuno volle pubblicare il manifesto che i compagni avevano preparato per denunciare il depistaggio in atto e la matrice mafioso. Tempo ci volle per la Verità e intanto la Memoria faceva il suo corso, grazie alla madre Felicia e alla nipote Luisa Impastato, figlia del fratello di Peppino, Giovanni, e oggi presidente della “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Luisa, a Reggio Calabria nel 2008, ha ricordato così nonna Felicia: “Era una donna grandiosa. Una nonna che ha rappresentato una parte fondamentale della mia vita. Una mente lucida ed emancipata, nonostante l’età. Fin dalla drammatica morte di Peppino la sua missione è stata sempre quella di non dimenticare. Un esempio per me specie quando, costituitasi parte civile nel processo, puntò il dito contro Gaetano Badalamenti, collegato in video dagli Stati Uniti. Un momento cruciale di cui ho visto il filmato e che ancora oggi mi emoziona richiamare alla mente. Un momento forte, soprattutto se penso a tutte le operazioni di depistaggio finalizzate a nascondere il delitto di mafia, di cui mio zio era stato vittima, definendolo come un agguato terroristico o un suicidio. Se mia nonna non si fosse ribellata anche la storia di mio zio Peppino sarebbe stata presto archiviata, avvolta nell’oblio e mai conosciuta veramente”.

Anni di depistaggi e ostruzionismo ma anche anni di grande impegno civile e tenacia per i familiari, per gli amici, per il centro di documentazione siciliano di Palermo nato nel 1977, su impulso di Umberto Santino e Anna Puglisi, e intitolato a Peppino Impastato nel 1980.

Dal 2010 opera a Cinisi anche l’associazione “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato”, formata dalla Famiglia Impastato e da alcuni collaboratori. La sua sede è la casa in cui vissero Peppino e la sua famiglia, oggi aperta a chi voglia conoscere, capire, impegnarsi, custodire.

Continua l'impegno del fratello Giovanni per non dimenticare. Proprio quest'anno ha pubblicato il volume "Oltre i cento passi" (collana Pickwick che riunisce i migliori successi delle case editrici Piemme e Sperling & Kupfer), arricchito dalle vignette di Vauro.

Così quello stesso 9 maggio 1978 avvenne il ritrovamento di entrambi i cadaveri a Roma e, nel cuore di Palermo, a Cinisi. Tuttavia ciò che subito rimase impresso fu il ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Le ragioni sono molteplici e non afferiscono solo al diverso peso mediatico che allora assunsero la morte freddante di un uomo di Stato e la bomba dilaniante il corpo di un giornalista siciliano coraggioso. La differenza sta nella mano e quella delle Brigate Rosse era molto più pressante sull’opinione pubblica dell’Italia di quanto non lo fosse - ciò del tutto erroneamente - quella della Mafia. Appalti truccati, contrabbando di sigarette e traffico di stupefacenti, così Cosa Nostra in Sicilia e fuori accumulava profitto, avvinghiandosi ad ogni potenziale di sviluppo e ricchezza per piegarlo ai propri interessi. Eppure la matrice mafiosa del delitto Impastato (seppure attribuito a ignoti), dovette aspettare 6 anni, prima di essere ufficializzata in una sentenza firmata da Antonino Caponnetto nel 1984, sulla base delle indicazioni del consigliere istruttore del primo pool antimafia istituito presso il tribunale di Palermo, Rocco Chinnici, anche lui assassinato da Cosa Nostra nel 1983. 

Fu proprio l’indignazione del fratello Giovanni, della madre Felicia Bartolotta Impastato e dei compagni di militanza a far sollevare la testa contro Cosa Nostra con la prima manifestazione antimafia promossa il 9 maggio 1979 cui parteciparono oltre duemila persone, provenienti da tutta Italia.

Peppino Impastata sentiva la passione civile come un’urgenza di opporsi all’omertà dilagante del suo paese, per questo non esitò a schierarsi in una lotta alla mafia, vera e senza etichette e passerelle, condotta attraverso la controinformazione e la satira. La sua lotta non aveva zone franche: combatteva in famiglia e fuori, a soli 100 passi da casa. Peppino Impastato, figlio di Luigi Impastato, capo di un piccolo clan ma componente del clan più grande con a capo Gaetano Badalamenti, la cui casa, posta a cento passi dalla sua e sempre con le persiane abbassate. Questa casa è stata la chiave del film di Tullio Maria Giordana che nel 2000 raccontò la storia di Peppino, interpretato da uno straordinario Luigi Lo Cascio, della mamma Felicia, del fratello Giovanni, del padre Luigi, vittima di un incidente mentre attraversava la strada qualche tempo prima di quel 9 maggio 1978. Raccontò anche dello zio di Peppino, Cesare Manzella, fatto saltare in aria quando lui aveva solo 15 anni con la prima autobomba della storia della mafia.

Peppino anche poeta torna a noi grazie alla raccolta di scritti e foto salvati dalla perquisizione effettuata nella sua abitazione dopo il suo omicidio. La pubblicazione si intitola “Amore Non Ne Avremo” ed è stata curata dei compagni di Peppino (Ila Palma 1990); con i caratteri di Navarra nel 2007, con aggiornamento nel 2009, a cura di Salvo Vitale, è stata nuovamente pubblicata in collaborazione con l’“Associazione Amici di Peppino Impastato”, in apertura della collana “Fiori di Campo”.

Il nome di una donna in fondo a un titolo lapidario e senza speranza che è anche il titolo delle sue poesie, che di speranza invece trabocca.

 

 Amore Non Ne Avremo*

 Nubi di fiato rappreso

s'addensano sugli occhi

in uno stanco scorrere

di ombre e di ricordi:

una festa,

un frusciare di gonne,

uno sguardo,

due occhi di rugiada,

un sorriso,

un nome di donna:

Amore

Non 

Ne

Avremo.

 

Peppino Impastato