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Coniuga il tempo nell’attrazione dell’oltre

di Natale Pace

A Fabia Baldi che in una intervista gli chiede:

“E il mare non le mancava?

Corrado Calabro gli viene un nodo in gola e compie sforzi per scioglierlo:

“Certamente; tuttavia vivere a Roma mi ha indotto maggiormente a ricordarlo. Roma è una città stupenda che mi ha dato tanto, è la mia città. Ma ogni mattina quando vado al balcone e apro le imposte, avverto come un senso di privazione. Ancora assonnato, ogni volta sul momento non capisco che cos’è. Solo un attimo dopo realizzo: mi manca il mare.

Quel mare ai cui bordi si rannicchiava la casetta di Bocale, quel mare che vedevo da tutte le finestre della mia casa di Reggio”

Ecco, se dovessi scegliere due personificazioni della poesia di Corrado, non avrei dubbi. Lui sa essere di un eccelso lirismo anche se deve scrivere la lista della spesa, un po’ come Neruda, ma riesce ad elevarsi su cime di monti innevate, ove l’aria è tersa e rarefatta e riempie i polmoni prima ancora che la si respiri, quando scrive versi che ispirati, dettati dal suo mare e dall’immensità della astronomia e dei fenomeni, delle immagini ad essa legati.

Nella lunga e bellissima prolusione autobiografica del recente volume “Manca qualcosa” pubblicato nel 2022 dalla giovane Pace Edizioni di Palmi (che stampa su piattaforma Amazon), Corrado Calabrò si reimmerge a un certo punto nelle profondità marine dello Stretto, se ne fa avvolgere, quando i ricordi lo prendono e lo trascinano nella miriade di colori delle acque che un tempo gli furono compagne di forti emozioni:

“In mare, però, prendevo le distanze da chiunque. Dopo la prima impressione, il mare mi accoglieva con una carezza trepida e avvolgente, mi sosteneva come un pallone elastico, mi toglieva la sete. Nessuno si spingeva a nuoto così lontano. Ero considerato un po’ pazzo dalle mogli dei pescatori e dei contadini sparsi con le loro casette lungo la costa; richiamavano con grida lamentose i loro ragazzi perché non mi seguissero nelle mie sfide ad oltranza”

E in un altro volume “Ricorda di dimenticarla” Newton & Compton, Roma 1999 Calabrò riporta a mito il suo essere mare:

“Appena Alceo entrava in mare, Poseidon s’impadroniva di lui e lo spingeva ad addentrarsi sempre più fino a veder diventare incerti i contorni della riva. Ma più s’addentrava più acquistava forza, come Anteo al contatto di Gea. La spinta dal basso si duplicava e con essa si duplicava la baldanza di Alceo; il mare, al largo, lo sosteneva come un pallone elastico; a braccia e gambe aperte, Alceo galleggiava supino come se fosse di sughero.

Nessuna pelle di donna aveva la levigatezza, la sericità la freschezza, la dolcezza dell’acqua del mare”.

Corrado frequenta da tempo il mio gruppo su Facebook “Ho voglia di versi” e ci regala di tanto in tanto versi bellissimi soprattutto tratti dalla sua raccolta antologica “Quinta dimensione, poesie scelte 1958-2018” Mondadori. Ma qualche volta, quando la sua giovanile ispirazione lo porta a nuove poesie, propone anche degli inediti che io gelosamente curo e custodisco con sincera ammirazione. Come ha fatto con questa stupenda composizione del 6 febbraio ultimo. A proposito di quel che scrivevo prima su Corrado e il mare:

 

Mare di silenzio

Mare che insaziato ti protendi

a oltrepassare l’ultimo orizzonte

ma resti confinato nel tuo letto,

mare di silenzio liquefatto

sorvegliato dal vento.

dubbiosamente.

 

Sempre dallo stesso gruppo, ne scelgo un’altra. Corrado e il mare … sempre!

Sirena

La notte è scesa in un pozzo profondo.

Brancola a vuoto, come una campana

che ha perso il batacchio

e va cercando l’occhio della luna.

Muoviamo, rannicchiati, alla ventura

scivolando sull’acqua a luci spente.

Sta accovacciato a monte Pentimele

e cova con la fronte ottenebrata;

lo sfiora quasi la nave-traghetto

che passa nel buio trasognata,

vicina e altrove come una sonnambula.

Fila liscia la barca

e segue la rotta col muso

come i pesci.

Apre l’occhio di quarzo la lampara:

si risveglia la notte in vetrina

e viene a galla in un magico acquario;

le aguglie vi smarriscono la rotta

e guizzano all’incontro elettrizzate.

Seduta a prua con le gambe nell’acqua,

lo sguardo acceso di bagliori azzurri,

le raccogli, frementi, dentro il coppo.

 

E poche ore fa la sorpresa di ricevere un altro suo omaggio.

Ricevere un dono è sempre una bella emozione, ti lega al donatore con un filo di stima e di affetto. Se poi il donatore è un grande poeta che tu riconosci maestro e sai che l'onore della sua amicizia va oltre i tuoi meriti, e se il dono è una straordinaria antologia di scritti di autori importanti che raccontano di lui e della sua poesia, allora vuol dire che il dono è davvero speciale.

Corrado ha pensato di mandarmi, dopo il primo, anche il secondo volume della raccolta antologica di scritti critici sulla sua poesia dal titolo "L'attrazione dell'oltre nella poesia di Corrado Calabrò" a cura di Tommaso Romano e Giovanni Azzaretto, stampato da Thule per la serie Spiritualità e Letteratura. Sono decine e decine di saggi o semplici commenti critici di autori importanti come, solo per citare qualcuno, Renato Minore, Giuseppe Amoroso, Pietro Cimatti, Carlo Di Lieto, Sten Jacobson, Davide Layolo, Mario Luzi, Dante Maffia, Mimmo Nunnari, Antonio Piromalli, Domenico Rea, Paolo Ruffilli, Luciano Satta, Maria Luisa Spaziani, Gilda Trisolini e altri, ma tanti altri. Leggerlo questo libro sarà davvero una full immersion nel mondo interstellare di Corrado e della sua poesia, come già mi accadde per il primo volume sono certo che mi prenderà la mente e il cuore. Lo vedrò, Corrado, ci vedremo il 14 aprile a Roma dove tanti amici scrittori, critici e giornalisti gli dedicheranno una serata. Alla Galleria Internazionale “Area contesa Arte” di via Margutta, l’evento “Nove poeti per Corrado Calabrò” organizzato dall’Associazione culturale Gli amici del Mare, in collaborazione con il Colonna Palace Hotel ed il Vivaio Palombi di San Felice Circeo. Sarà una serata di poesia in suo onore alla quale hanno aderito i poeti: Fabia Baldi, Alessandra Bucci, Niccolò Carosi, Vittorino Curci, Brigidina Gentile, Anna Manna, Antonio Maria Masia, Giuseppina Palo, Angelo Sagnelli.

Le liriche saranno recitate da Tiziana Bagatella e Concetta Riccitelli e l’incontro, coordinato da Francesco Agresti, sarà condotto da Neria De Giovanni.

È un segno, l’ennesimo, della considerazione di cui gode Calabrò nel mondo letterario nazionale ed internazionale, se nella prima pagina interna di questo secondo volume di pagine critiche Luis Alberto De Cuenca, tra i più grandi poeti spagnoli viventi, accademico a pieno titolo della Reale Accademia di Storia, ​ accademico dell'Accademia di Buone Lettere di Granada, ​ membro del Consiglio di Amministrazione Reale del Museo del Prado​ e membro della giuria del Premio Principessa delle Asturie per la Letteratura e vincitore del Premio Rhegium Julii Internazionale dello Stretto 2023 ha scritto di lui:

“Corrado Calabrò es autor de los versos mas memorables que se han escrito en italiano durante los ultimos sesenta anos” (“Corrado Calabrò è l’autore dei versi più memorabili scritti in italiano negli ultimi sessant’anni”).

E dice il vero De Cuenca, se già negli anni ’90 Carlo Bo aveva riconosciuto Calabrò tra gli sperimentalisti più originali della sua generazione, e che può ritenersi tra i precursori del nuovo umanesimo, tra i più apprezzati e letti a livello internazionale.

            Corrado Calabrò nasce poeta prima che magistrato. Ha studiato giurisprudenza alla facoltà dell’ateneo messinese che storicamente ha sempre sfornato grandi giuristi. Avrebbe voluto studiare fisica, ma il padre gli spiegò che un figlio fisico non avrebbero potuto permetterselo. Questa scelta gli lasciò insoddisfatta la sua voglia di astrofisica che però prese a leggere e studiare ugualmente. Divorò almeno un centinaio di libri di fisica e astrofisica.

Sono rimasto un dilettante; anzi un dilettato; ma l’astrofisica è l’isola che non c’è in cui mi rifugio appena posso”.

Appena 25enne è l’editore Guanda di Parma ad accettare le sue composizioni poetiche pubblicandole in un volume dal titolo “Prima attesa”. Ma può un magistrato fare il poeta, o viceversa, può un poeta fare il magistrato. Per molti anni, forse un decennio, Calabrò evita di mischiare le due cose perché temeva che di lui si dicesse: “Come magistrato è un buon poeta; come poeta è un buon magistrato”.

Lui stesso racconta un curioso episodio. Andava a Palermo per un’udienza insieme a un collega. In un tratto che la ferrovia viaggia rasentando la costa della Calabria, si vedeva il mare azzurrissimo di certe cristalline giornate d’inverno:

“Guarda” mi disse Alberto De Roberto, che sedeva accanto al finestrino tenendo in mano un libro, “guarda questo mare come prende l’anima! E guarda queste poesie come rispecchiano incredibilmente questo mare”. Poi lesse il nome dell’autore “Corrado Calabrò. Si chiama come te. Lo conosci?” “No” risposi “ma conosco le poesie; sono bellissime!”

Poi vennero altri ventitré volumi tra cui Rosso d'Alicudi, pubblicato nel 1992 da Mondadori, Una vita per il suo verso, Oscar Mondadori, 2002, La stella promessa, nella collezione “Lo Specchio” di Mondadori, 2009, Quinta Dimensione, Oscar Mondadori 2018, che è la più completa opera poetica di Calabrò, per arrivare ai due volumi di antologia critica “L’attrazione dell’oltre nella poesia di Corrado Calabrò” e l’ultimo, come detto “Manca qualcosa” con la Pace edizioni.

Nel 2013 fece discutere una sua presunta candidatura al premio Nobel per la Letteratura, ripresa da alcuni quotidiani. In realtà fu invitato alla 13ª “Settimana della Lingua Italiana nel Mondo” in Svezia, e, in quel contesto, presentò le sue ultime traduzioni in svedese, Den utvalda stjärnan e Vid slocnad mǻne, alla presenza di alcuni accademici.

Parallelamente, dopo aver conseguito la laurea con il massimo dei voti e lode, è stato magistrato alla Corte dei Conti me poi al Consiglio di Stato del quale è stato anche Presidente aggiunto nel 2008 e Presidente onorario dal 2009. Nel 2001 è stato Presidente del Tar del Lazio. Dal 1963 al 1968  ha seguito Aldo Moro alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dirigendo la segreteria tecnico-giuridica a Palazzo Chigi. Successivamente è stato Capo di Gabinetto in vari ministeri: Bilancio, Mezzogiorno, Sanità, Industria, Agricoltura, Marina Mercantile, Poste e Telecomunicazioni, Pubblica Istruzione e Università, Politiche Comunitarie e delle Riforme Istituzionali.  Consigliere giuridico del Ministro degli Esteri dal 1969 al 1972. Capo dell’Ufficio legislativo dei Ministeri del Bilancio e del Tesoro.

Dal 2002 al 205 è stato Presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’Autore. Il 9 maggio 2005 è stato nominato, con decreto del presidente della Repubblica, su indicazione del Consiglio dei Ministri e col voto favorevole del Parlamento, presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni, carica che ha ricoperto fino a luglio 2012.

Una carriera stellare che non gli ha impedito, quando era necessario, di rifugiarsi nella poesia a parlare d’amore, di mare e di astronomia con la sensibilità estrema, come se invece di vivere tra codici e codicilli, vivesse candidamente tra le nuvole o in fondo agli abissi marini, dove le sue sirene giocano a rimpiattino.

            E il poeta?

Certo è difficile aggiungere nuove riflessioni alle centinaia che personalità importanti della critica nazionale e internazionale hanno dedicato alla poesia di Corrado Calabrò. Domenico Rea, Pietro Cimatti, Renato Minore, Dante Maffia: che vuoi scrivere che non sia stato già scritto? I versi di Calabrò sono stati esposti, scuciti e ricuciti, passati al setaccio, impastati nella madia del cuore.

Meglio leggerne una, un’ode bellissima da “Il vento di Mikonos” dove i versi diventano un colorato parapendio che ti trasporta lassù dove gli umani non ardiscono, nel silenzio cosmico che solo il frusciare delle ali rompe. In quel silenzio, tu piccola cosa del mondo, lo vedi il mondo farsi piccolo, là, in basso, minuscole formiche di carne che si fanno guerre, s’ingelosiscono, amano, odiano, viaggiano senza vedere, guardano senza amore. L’ha pubblicata nel mio gruppo qualche tempo fa ed io, al colmo del parossismo emozionale:la commentai. Grande amico mio, grande Corrado!

 

Ricordi quel settembre a Maratea?

Corresti appena sveglia sul terrazzo:

il mare stava ancora eviscerando

nel golfo il suo cuore di cristallo.

Portasti la mano alla gola...

ma subito un velario di ritegno

s’interpose tra gli occhi e la visione;

tale è a volte il pallore dell’alba

che dal suo stesso eccesso è soffocato.

Così m’accade ora che sei lontana:

se lo fisso, il tuo volto svapora

come in una foto sovraesposta.

 

E il tuo grido quel giorno al tramonto?

Come una gola azzurra di colomba

il golfo palpitava, trasmutando

dal blu cobalto al verde acquamarina.

Sul mare traboccava da un braciere

d’oro una lenta colata di lava.

Adagiata sul fiume di brace

alla deriva te n’andavi nuda,

senza scottarti, come chi cammina

scalza, su un letto di carboni ardenti:

ti seguivo muovendo solo i piedi.

Di tanto in tanto uno dei fiori d’acqua

che ti galleggiavano intorno

se ne veniva, inavvertito, a darmi

un lieve bacio urticante nel petto.

Poi dolcemente vennero ingoiati

gli isolotti del golfo ad uno ad uno;

per ultimo scomparve Santo Ianni.

 

Forse alla nostra miopia si rivelano

anch’essi a un’occulta subsidenza

Riuscii a dissimulare per un anno

a me stesso che mia madre non c’era.

Avvampavano ancora la bocca

i peperoncini tumescenti,

conservati da allora nel freezer.

Ma col tempo il basilico appassiva

ed il mare erodeva la spiaggia

tutt’intorno al lido di Reggio.

Così seppi che s’era abbassata

la soglia della casa della mamma

e ch’era sceso di due metri il luogo

dove ogni anno, ad agosto, m’aspettava.

 

ai qual è il contenuto della flebo

che da tre giorni bevo con la vena?

E’ una soluzione d’acqua e sali,

simile al siero ed all’acqua marina.

Pesa come un battaglio sul cuore,

e ne rende metallici i rintocchi,

pesa come un’allodola morta,

solo togliendo gli occhiali i miraggi.

Cala il sipario prima che intendiamo

e a noi resta il biglietto strappato,

come a teatro, a spettacolo finito.

Futile dea dal corpo adolescente,

con lampi di mica negli occhi

ed i seni dorati dal tramonto!

E’ dentro gli occhi il sipario che scende:

ha le sue cateratte la memoria,

specie quando vogliamo rivedere

in sogno un sogno che abbiamo sognato.

 

S’inoltrano in mare gli amanti

come Alice entrava nello specchio;

cercano dimensioni al loro amore

- di sé perdutamente innamorato -

che siano almeno a misura d’oceano.

Ma prima o dopo tornano alla riva

portando, a dondolo, un secchiello d’acqua.

Un po’ come l’amore è la poesia.

 

Anche i salmoni varcano a ritroso,

per ritrovare l’infanzia, l’oceano.

Vent’anni addietro, nel mese di agosto,

venendo da Roma, senza soste,

scendevo giù per la valle del Noce.

A Praia mi veniva incontro il mare

ed io gli entravo in grembo a perdifiato

spogliandomi in corsa sulla spiaggia.

Poi riprendevo la costiera calabra

per ritornare dalla mamma a Reggio.

 

Ma i luoghi dell’infanzia son soggetti

a Capodanno, la cometa spenta.

Sarebbe bello addormentarsi in mare

con l’acqua in gola che disseta e nutre

e, volteggiando, planare sul fondo

dove s’addensa l’ombra degli assenti.

Lì,

dove il grande pianoro viene arato

dalle ancore infeconde dei partenti,

lì, come nella macchina di Wells,

ridestarsi su un letto di sabbia,

nel mare che confonde la memoria

e che dall’onda lunga del suo sangue

in un bagno inesausto si rigenera!

Cosa c’è di più dolce per un naufrago

ch’essere risvegliato da Nausicaa?

Ma più d’Itaca è dura la Calabria,

madre severa verso i propri figli

che non si siano svezzati per tempo

e continuino a starle troppo addosso:

mentre torni dai tuoi a cambiare i fiori

ti sigilla la bocca con la terra.

 

Grande raccontatore di poesia il mio amico Corrado. Anche in questo bellissimo cantico d'amore. Comincia con nove versi al passato remoto che si completano con un presente sognato: "Così m’accade ora che sei lontana:". Poi è un passato raccontato col tempo del recente imperfetto: "Adagiata sul fiume di brace/alla deriva te n’andavi nuda,/senza scottarti, come chi cammina/scalza, su un letto di carboni ardenti" Ma anche questo tempo imperfetto si specchia nel presente: "ha le sue cateratte la memoria,/specie quando vogliamo rivedere/in sogno un sogno che abbiamo sognato". Per ritornare ancora un attimo indietro nel tempo: "ed il mare erodeva la spiaggia/tutt’intorno al lido di Reggio./Così seppi che s’era abbassata/la soglia della casa della mamma/e ch’era sceso di due metri il luogo/dove ogni anno, ad agosto, m’aspettava". E' un modo straordinario di raccontare coi versi, racconto che si fa poesia, che il lettore leggendo, come camuffandosi poeta, rivive e fa suoi i ricordi: di una lei: "Futile dea dal corpo adolescente,/con lampi di mica negli occhi/ed i seni dorati dal tramonto!" o dei luoghi o di una madre o di una terra dura la Calabria, più dura della terra di Ulisse, poesia fino alla fine: "mentre torni dai tuoi a cambiare i fiori/ti sigilla la bocca con la terra./”

Che volete che vi dica? Corrado Calabrò è questo e i suoi versi sono come carnevale che ti maschera apparentemente quel che non sei, ma sotto la maschera tutto te conservi e questa voglia di passato.