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di Anna Foti

 

Alla storia della città di Berlino divisa dal muro, Christa Wolf, scomparsa il primo dicembre del 2011, all’indomani della costruzione del muro, nel 1963, ha dedicato lo straordinario romanzo di formazione (il suo scritto d’esordio) “Il cielo diviso” (“Der geteilte rimmel”). «La città poco prima dell’autunno immersa ancora nella calura dopo la fresca estate piovigginosa di quell’anno, respirava con più veemenza del solito. Il suo respiro si effondeva in fumo denso su da cento ciminiere di fabbriche nel cielo terso, ma poi gli mancava la forza di proseguire. La gente, da tempo avvezza a quel cielo velato, lo trovava improvvisamente insolito e difficile da sopportare, sfogando la subitanea irrequietezza anche sulle cose più remote. L'aria la opprimeva, l'acqua aveva un sapore amaro. Ma la terra la reggeva ancora, quella gente, e finché ce n’era l’avrebbe fatto…».

 

In volo sulle ali del cambiamento ha visto il mondo nel 1990 Klaus Meine, voce della band tedesca degli Scorpions, autore dell’indimenticabile canzone Wind of Change che ancora oggi narra in note la riunificazione della Germania dopo la storica caduta del muro di Berlino (Berliner Mauer), emblema dei regimi comunisti contrapposti ai paesi occidentali, tra Est e Ovest dell’Europa.

La letteratura ha narrato gli albori e la musica ha celebrato la fine di una Storia, quella della cortina di Ferro che per quasi trent’anni non ha diviso solo Berlino ma il mondo intero. Nel tentativo di oltrepassarla centinaia di cittadini tedeschi sono morti, divenendo angeli nel Cielo sopra Berlino mentre Marion, l'affascinante e malinconica trapezista animata da Wim Wenders, si chiedeva ancora se il tempo guarisse le ferite, se il tempo solo potesse essere la cura ...

 

Un momento storico che oggi Berlino celebra con tante iniziative e che allora destò gioia ma anche preoccupazioni. Si temeva che crollato quel muro, potesse essere venuto meno quel baluardo che all’indomani della Seconda guerra mondiale era stato eretto per evitare la Terza. Ipotesi che all’epoca era tutt’altro che remota. Tuttavia quei timori si sciolsero presto in una Speranza alimentata dalla ritrovata Libertà e dal desiderio di Democrazia.

 

Ci sono giornate che sono passate alla Storia come momenti di svolta epocale in cui, appunto, la Speranza e il sogno di Libertà hanno fatto breccia, nello stesso istante, nel cuore di milioni di persone.

 

Una di queste giornate è stata, senza dubbio quella vissuta a Berlino il 9 novembre 1989 quando fu abbattuto lo storico muro, costruito in segreto in un'unica notte, quella tra il 12 e il 13 agosto 1961, in piena Guerra Fredda. Un giornalista, Adam Kellet-Long, capì che qualcosa accadeva quando gli fu impedito il passaggio e gli fu detto che “il confine era chiuso”. Dopo quella notte nulla fu come prima. I cittadini di Berlino si svegliarono divisi: uomini e donne di una stessa comunità separati dalla Storia e dalle ideologie, cittadini di uno stesso mondo, che tornarono ad abbracciarsi e che insieme picconarono quel cemento, ventotto anni dopo.

 

In quel giorno di trent’anni fa si dava immediata esecuzione all’ordine per il quale ai cittadini di Berlino Est sarebbe stato consentito di oltrepassare il varco per raggiungere Berlino Ovest, di oltrepassare quindi il muro eretto quasi trent’anni prima.

 

Una conquista che divenne una festa, un giorno dopo il quale tutti gli altri sarebbero stati diversi: ci si sarebbe potuti muovere liberamente, senza divenire bersaglio della guardie comuniste e rischiare la vita, senza dover trattenere il fiato passando nei tunnel sotterranei per raggiungere l’altra parte della capitale tedesca.


Oggi ciò che resta dell’antico tracciato del muro anima alcuni luoghi di Berlino divenuti della Memoria. In particolare la East Side Gallery costituisce il tratto più lungo di quell’antico tracciato del muro rimasto nella posizione originaria e rappresenta per tutti un memoriale internazionale alla libertà. La foto che correda questo articolo ritrae proprio un tratto di quel muro, negli anni impreziosito da contributi artistici da tutto il mondo. 

 

Una città spaccata, Berlino, che incarnava l’emblema del mondo diviso tra l’Unione Sovietica e il blocco Occidentale, di quella geografia di poteri disegnata dopo la Seconda Guerra Mondiale: da una parte l’influenza statunitense e dall’altra quella sovietica comunista. Una barriera antifascista, una rete di fortificazioni che avrebbe dovuto proteggere e che invece ostacolò diritti e libertà.

Il destino di divisione di Berlino fu segnato durante la Conferenza di Yalta, all’indomani del Seconda Guerra Mondiale, quando il suo territorio fu politicamente smembrato in quattro settori assegnati per la parte più estesa all’Unione Sovietica, per il resto alla Francia, agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Questi tre settori, anche se indipendenti, ricadevano di fatto nel territorio della Germania Ovest circondato dalla Germania Est, dunque la libertà di circolazione in questa zona divenne, con l’incalzare della Guerra Fredda tra blocco comunista e blocco occidentale, nulla.

 

Figlia della Grande Storia del secolo ormai scorso, è la piccola storia, lunga 28 anni, della striscia di calcestruzzo sotto il cielo di Berlino. Una piccola storia che, nel suo concludersi, ha dichiarato Pace alla Guerra e ha rivendicato spazio vitali per i Diritti e la Democrazia. Quegli spazi che l’abbattimento del muro ha, simbolicamente, ma non solo, restituito.

 

Il filo spinato venne presto sostituito dal cemento armato, oltre 100 chilometri di lunghezza con tre metri e mezzo di altezza, che rimase poi l’elemento portante dei successivi interventi fino alla costruzione di una recinzione che, soppiantando la prima, si compose anche di una frontiera interna al muro drammaticamente nota come “la striscia della morte” dove persero la vita tanti innocenti nel tentativo di oltrepassarla.

 

Il muro tagliava oltre 190 strade berlinesi e impediva il transito dei cittadini da una parte all’altra della città. Prima della costruzione del muro oltre due milioni di persone emigrarono dal settore sovietico agli altri. Dopo la sua costruzione solo circa cinquemila riuscirono nell’attraversamento. Migliaia le persone arrestate nel tentativo di oltrepassarlo, centinaia quelle uccise o solo ferite dalle guardie tedesche.

 

Per molti il salto nell’”altra Berlino” fu violentemente stroncato. Oggi vi sono croci a memoria dei tentativi di passaggi sfociati in tragedie. Tra queste anche quella di Peter Fechter, lasciato morire a diciotto anni proprio sulla striscia della morte e poi quella di Chris Gueffroy, l’ultimo ad avere trovato la morte al di là del muro.

Furono giorni difficili, gli ultimi di quel frangente storico, per il popolo tedesco, quelli che precedettero la caduta del muro. Gli ultimi giorni prima di un cambiamento epocale per Berlino e per l’Europa che sarebbe venuta dopo.

 

Memorabile e fortemente significativo l’appello a resistere, a restare e a non fuggire oltre il confine, rivolto in tv ai concittadini della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) l’8 novembre 1989 dalla scrittrice tedesca (tuttavia nata in Polonia), Christa Wolf:

«Care concittadine, cari concittadini, noi tutti siamo inquieti. Vediamo migliaia di persone che ogni giorno lasciano la nostra terra. Noi sappiamo che la politica degli ultimi giorni ha rafforzato la sfiducia nel rinnovamento. Noi siamo consapevoli della debolezza delle parole di fronte al movimento di massa, ma non abbiamo nessun altro mezzo che le parole. Che ancora adesso mandano via, mitigano la nostra speranza. Noi vi preghiamo, rimanete nella vostra patria, rimanete da noi. Cosa possiamo promettervi? Niente di facile. Ma una vita utile e interessante. Nessun benessere in breve tempo, ma con azione un grande cambiamento. Vogliamo impegnarci per la democratizzazione, elezioni libere, diritto e sicurezza».

 

Berlino, oggi la quinta città più popolosa d’Europa, è divenuta così scenario di un momento che avrebbe segnato la Storia del Novecento e non solo. Una svolta corale della Germania verso l’unificazione dei suoi cinque stati federali (Brandeburgo, Meclenburgo-Pomerania Occidentale, Sassonia, Sassonia-Anhalt, Turingia), completatasi nell’ottobre del 1990. Una svolta corale dell’Europa verso la Democrazia e la condanna di ogni totalitarismo. Un passo condiviso cui contribuirono Solidarnosc (“Solidarietà”), il sindacato autonomo dei Lavoratori guidato da Lech Walesa Premio Nobel per la Pace nel 1983 e presidente della Polonia negli anni 1990/1995, la Perestrojka (politica di “ristrutturazione”) e la Glasnost (la trasparenza e l’insieme delle riforme avviate dal 1986 nell’Unione Sovietica) di Mikhajl Gorbacev, ultimo Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Premio Nobel per la Pace nel 1990. Centrale anche il ruolo di Papa Giovanni Paolo II, proclamato Santo nel 2014.

 

Il muro, emblema di una storia di divisione e negate libertà, quel 9 novembre 1989 diventò breccia di speranza che rivitalizzava un terreno bruciato dai totalitarismi e dalle dittature che avevano insanguinato il Novecento e dalle quali oggi il mondo ancora non è ancora libero. Oggi il senso dell’abbattimento della Cortina di Ferro si arricchisce di implicazioni storiche, politiche e sociali e questa giornata diventa occasione per un’eco di idee senza confini.

 

Il messaggio di affermazione di Diritti e Democrazia, ancora ignorato in molte aree del mondo, di abbattimento di barriere visibili come un filo spinato o il calcestruzzo, ancora presenti nella quotidianità di popoli e persone di molti luoghi, diventano oggi più che mai emblemi anche di altre barriere.

 

Quelle più insidiose, per l’assenza di fattezze visive, ma più perniciose per la consistenza e la recrudescenza di ostacoli mentali. In una parola, pregiudizi covati nella mente, prima che nel modus vivendi di un’intera comunità. Quello stesso pregiudizio che non si radicò a Berlino dove in piena Guerra fredda, all’indomani della costruzione del muro, si fu in grado di trasformare lo stesso in un luogo di costruzione e condivisione di idee di libertà, in una tela a cielo aperto su cui già nel 1990 dipinsero artisti di 21 paesi, tra cui l’Italia con l’Inno alla Gioia di Fulvio Pinna. Un luogo che univa invece di separare.

 

Il muro rappresentava, infatti, una barriera tra Stati, tra ideologie e tra persone che tuttavia, non ha cancellato idee, valori, principi e sogni.

 

Gli stessi che in fermento dall’Ungheria viaggiarono passando per Berlino prima di giungere a Bratislava, attuale capitale della Slovacchia, dove il 16 novembre 1989 ebbe luogo la prima manifestazione studentesca non violenta; era l’atto di avvio di quella che sarebbe passata alla storia come la Rivoluzione di Velluto dei paesi comunisti rispetto al dominio sovietico, eredità della Primavera della magica città di Praga, attuale capitale della Repubblica Ceca. Un tempo invasioni dell’Unione Sovietica (Germania nel 1953 e Ungheria nel 1956) e sangue, venti anni dopo riscatto e sogno di libertà.

 

Proprio Praga fu teatro di uno dei momenti simbolo della caduta del Muro, quando il 30 settembre 1989 l'allora ministro degli Esteri di Bonn, Hans Dietrich Genscher, dal balcone dell'ambasciata tedesca nella capitale dell'allora Cecoslovacchia, non arrivò a completare la l’annuncio dinnanzi alle migliaia di profughi tedeschi che attendevano di tornare ad Ovest, di tornare a casa. La Gioia per il ritorno ad una “normalità” fino ad allora negata era esplosa prima. Il giorno dopo, i primi treni ed il ritorno a casa.

 

Ancora a Praga Désirée, una della prime persone a varcare il confine quella notte, ha ritrovato tutta la sua famiglia dopo il crollo del muro che per molti si tradusse anche nella frantumazione dell’esistenza passata. «Una volta caduto il Muro, ho perso il lavoro e io e mio marito ci siamo lasciati. Il nostro matrimonio non ha retto alla grandezza del mondo. Ho rivisto tutta la mia famiglia, ci siamo dati appuntamento a Praga. Ho iniziato a viaggiare, ho visitato per la prima volta Parigi, poi l’Egitto. Ho studiato tecnologia informatica e al  ho trovato un nuovo lavoro a Ovest. E, alla fine, ho incontrato un nuovo amore, il mio secondo marito», ha raccontato Désirée a VanityFair.

 

Una tappa storica di un processo che, ancora oggi, non può considerarsi pienamente compiuto. Del muro oggi restano simbolici e colorati frammenti in tutto il mondo: campeggiano da Berlino fino a Città del Capo passando per Buenos Aires, Mosca, Kiev, Seul, Londra, New York, città del Vaticano, Sofia e Budapest, eretti ad imperitura Memoria di un Sogno che è ancora di tutti.

 

Anche Reggio Calabria proporrà a dicembre un momento di riflessione su questo evento. Nella cornice della consueta manifestazione Visioni di cine(ma) indipendente, in programma dal 9 al 12 dicembre presso la residenza Universitaria  e l’accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, il Circolo del cinema "Zavattini" proporrà tre lungometraggi (WINTER ADÉ - Addio inverno - di Helke Misselwitz, 1989; DIE MAUER  - Il Muro - di Jurgen Böttcher,1990; VERRIEGELTE ZEIT Tempo bloccato - di Sybille Schönemann, 1990) del progetto distributivo "1989-2019 Trent'anni senza muro," della casa di distribuzione indipendente Reading Bloom,  curato da Federico Rossin e Alessandro Del Re.

 

Un giorno che fu di tutti,dunque. Fu della Germania dove, tuttavia, oggi la memoria recente della Shoah cede il passo alla pericolosa smemoratezza di una deriva antisemita inquietante come dimostra il recente attacco nel giorno dello Yom Kippur alla sinagoga di Halle, in Sassonia, che ha causato la morte di un uomo e di una donna. Un fenomeno che dilaga in Europa e che il giovane regista tedesco Lukas Nathrath nel suo corto Kippah (Germania 2018), in concorso alla recente edizione del Pentedattilo Film Festival, ha raccontato proponendo una riflessione seria e necessaria sul fenomeno del bullismo intrecciato con i temi dell’intolleranza e della discriminazione religiosa, che in realtà cela (o forse rivela) divisioni e possibili lacerazioni ancora più profonde e storicamente tanto ingombranti quanto irrisolte.

 

Un giorno dell’Europa in cui si ergono altri muri fatti di ignoranza e pregiudizi, in cui il diritto alla Libertà e alla Vita dignitosa si vorrebbe limitarlo solo agli Europei e negarlo a coloro che arrivano via mare rischiando quella stessa vita; il giorno di un’epoca in cui in Italia il viaggio di memoria ad Auschwitz di uno studente è ritenuto un progetto di parte e non un dovere assoluto di tutti, in cui una donna di nome di Liliana Segre, 89 anni, sopravvissuta ad Auschwitz, senatrice a vita, che ha dedicato la propria vita alla testimonianza e alla Speranza piuttosto che all’odio e alla vendetta, oggi è costretta a vivere sotto scorta per i gravi insulti ricevuti in quella stessa Italia in cui il Senato della Repubblica non è stato in grado di garantire unanimità sull’istituzione una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza; un giorno di in un’epoca in cui odiare non è un atto logorante e distruttivo ma è comportamento che conferisce uno status sulla rete. 


È necessario conoscere e interrogare i fatti, ricordare il passato per capire e interpretare il presente che ha in sé  quei semi, buoni e cattivi che siano, nel futuro germoglieranno.

 

Resta vivo più che mai il monito di un presente libero dalle barriere di cemento, come dai pregiudizi e dai muri che hanno sembianze diverse ma che non sono meno insidiosi. Il cammino è ancora lungo e, proprio per questo, nonostante tutto, dobbiamo continuare a percorrerlo.