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Categoria: Carta bianca
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di Anna Foti

Una lirica improntata alla ricerca impossibile di un senso esistenziale compiuto e definito, tale da estirpare quel male di vivere invece così radicato, quella di Eugenio Montale, poeta, giornalista e critico musicale genovese, senatore a vita, di cui quest'anno ricorrono i 125 anni dalla nascita e i 40 anni dalla morte. Le sue raccolte di liriche disegnano un percorso che si dipana dai frammenti dell’essere per approdare a frammenti di vita preziosa come quella condivisa con la moglie, Drusilla Tanzi, anche lei scrittrice, cui dedicò le sezioni "Xenia 1" e "Xenia 2" (nell’antica Grecia i doni fatti all’ospite) della raccolta "Satura" (1971). Un titolo che di per sé suggerisce ciò che rimane di una vita di parole, di inchiostro, di intima e intensa ricerca, di costante tensione emotiva.

«Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni», così uno tra i più rappresentativi poeti italiani del Novecento, Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), riceveva il quinto dei sei premi Nobel per la Letteratura assegnati a personalità del Regno d’Italia prima e della Repubblica Italiana dopo. Il poeta, giornalista e critico musicale genovese, senatore a vita, di cui quest'anno ricorrono i 125 anni dalla nascita e i 40 anni dalla morte, riportò nel 1975 il prestigioso riconoscimento internazionale in Italia, dopo il poeta toscano Giosuè Carducci (1906), la scrittrice sarda Grazia Deledda (1926), lo scrittore siciliano Luigi Pirandello (1934), il poeta siciliano Salvatore Quasimodo (1959), e prima dello scrittore lombardo Dario Fo (1997).

Il cammino lirico di Montale parte da quei frammenti iniziali spalmati su quartine, versi liberi ed endecasillabi dall’«odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta», a «qualche storta sillaba e secca come un ramo».

Una frantumazione che avviene anche nel verso con il ricorso all'enjambement che ne altera l'unità sintattica, spezzandolo solo in apparenza ed invece arricchendolo di squisita musicalità. "Limoni", "Non chiederci la parola che da ogni lato squadri" e "Meriggiare pallido e assorto" ("Ossi di Seppia") sono solo alcune delle liriche maggiormente conosciute del poeta racchiuse nella prima raccolta intitolata come una delle otto sezioni che la compongono, "Ossi di Seppia" (1925).

Il titolo evoca l’abbandono e ciò che resta dopo di esso, ciò che il mare restituisce alla terra e alla spiaggia, dopo averlo vissuto e consunto.

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Tutto ciò in un tempo in cui tutto rimane incompiuto come le rivelazioni del poeta capace di interpretare il male di vivere, senza smettere di attendere un miracolo che tinga di azzurrità un mare grigio o un cielo cupo in attesa del suo sole.

La raccolta successiva "Le occasioni" (1939) racchiude in sé la casualità dei momenti di verità e di pienezza nell’arco di una intera esistenza. Un bagliore, una illuminazione che, nell’attesa ostinata di quel miracolo, di quell’evento prodigioso che accenda barlumi di verità nelle piccole cose rivelando il senso nascosto dell’esistenza, bisogna essere in grado di cogliere ed interiorizzare.

Seguì la ricca produzione poetica con " Finisterre. Versi del 1940-42" (1943), "Quaderno di traduzioni" (1948), "La bufera e altro" (1956), "Xenia" (1966), "Satura" (1971), "Diario del '71 e del '72" (1973), "Sulla poesia" (1976), "Quaderno di quattro anni (1977)", "Altri versi" (1980), "Diario Postumo" (1996), sulla cui paternità si dubita. E anche una produzione in prosa con "Farfalla di Dinard" (1956), "Auto da fè" (1966), "Nel nostro tempo" (1972).

L’animo di Montale, nutritosi dei paesaggi liguri, di quella riviera che ha stigmatizzato la sua solitudine, sfidò la precarietà umana, la sua fragilità e l’inquietudine dell'esistenza con una lirica disincantata ma che dell’incanto ha conosciuto, profondamente e senza filtri, la disillusione conseguente. Grandi temi, idee folgoranti e intense emozioni, uno scrigno, le sue liriche, ancora di inestimabile ricchezza. 

Autodidatta, imbevutosi della letteratura di Dante, Petrarca, Boccaccio, D’Annunzio, coltivò anche la passione per il canto prima di una breve parentesi nell’esercito da cui si congedò nel 1920. Nel 1925 sottoscrisse il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti di Benedetto Croce cui seguì un periodo di reclusione nella provincia ligure che più di ogni altro nutrì il suo ‘male di vivere’.

Eugenio Montale fu solito trascorrere le vacanze a Monterosso mare, una delle incantevoli Cinque Terre, parco nazionale patrimonio dell’Unesco in Liguria, dove negli anni venti conobbe a Monterosso una delle sue muse ispiratrici, Anna degli Uberti. Lì a Punta Mesco si erge villa Montale, la pagoda giallognola scampata anche alla recente alluvione. Tappe della sua vita sono poi state anche Firenze e Milano dove morì nel 1981.

Nella capitale toscana, fucina culturale di respiro europeo e culla della Poesia italiana moderna avendo accolto le edizioni de "La Voce", i "Canti orfici" di Dino Campana (1914), le prime liriche di Ungaretti per Lacerba e poeti come Vincenzo Cardarelli e Umberto Saba, Montale fu redattore presso l’editore Bemporad e collaboratore delle principali riviste letterarie come Solaria e frequentatore dei ritrovi letterari come il caffè Le Giubbe Rosse dove conobbe Carlo Emilio Gadda, Tommaso Landolfi e Elio Vittorini.

L’assunzione come redattore del Corriere della Sera, alla fine degli anni Quaranta, poi nella capitale lombarda, nel 1948. Molto attivo sul fronte della critica letteraria e sulle pagine culturale e autorevole corrispondente dall'estero, aveva iniziato tempo prima a scrivere sulle colonne del Piccolo di Genova, dell'Azione e de L’Ambrosiano.

Un intellettuale che a pieno visse il suo tempo e l'inquietudine che ogni epoca porta con sé.